Tutti all’estero senza credito

Tutti all’estero senza credito

Ormai è un mantra che gli imprenditori vinicoli ripetono un po’ ossessivamente: le speranze sono riposte nei mercati esteri, giacché i consumi in Italia sono fermi. Persino le vendite nella Grande distribuzione organizzata non danno più soddisfazione e – allargando il discorso all’industria in generale – nemmeno gli smart phones tirano più come un tempo. Di qui la necessità di incrementare l’export, prima che sia troppo tardi. Il percorso, però, è tutt’altro che semplice e si ravvedono alcuni rischi da non sottovalutare.
L’Ocm vino ha determinato lo slancio delle esportazioni, spostando risorse dalle distillazioni alla promozione, ponendo fine, certamente, all’epoca degli sprechi di denaro pubblico, prima impiegato nella distruzione delle eccedenze.
Tutti con la valigia in mano, a fiere, eventi o in visita a importatori e distributori, i produttori stanno investendo le “risorse liberate” per costruirsi un futuro all’estero. Fin qui solo bene. Ovviamente gli “aiuti” non sono sufficienti e gli imprenditori devono investire anche del proprio o, in mancanza, rivolgersi al mercato del credito per sviluppare la rete internazionale. Non solo. L’aspetto più minaccioso (e meno dibattuto) riguarda il dopo, la gestione dei territori conquistati.
Lo ha scritto con estrema chiarezza sulle pagine de Il Sole 24 Ore (“Dalle banche più risorse a chi esporta”, 4 marzo 2012) il professor Beniamino Quintieri, preside della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata che ricordiamo anche quale presidente dell’Istituto per il commercio estero (Ice) dal 2001 al 2005. Sostiene Quintieri: “Grande attenzione è stata data da questo giornale al problema del credit crunch e alle implicazioni negative in termini di crescita economica derivanti dalla crescente difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese italiane. La questione è ancora più rilevante nell’ottica di una sempre maggiore presenza delle stesse sui mercati esteri, considerando che la stagnazione della domanda interna fa sì che le aziende nell’immediato futuro siano sostanzialmente legate alla capacità di esportare”.
Sottolinea l’economista che vi sono molti motivi per ritenere che l’attività all’estero sia più legata alla disponibilità di denaro di quanto non lo siano quelle relative al mercato domestico. Qualche esempio: maggiori costi, molti dei quali irrecuperabili, per la distribuzione, per il trasporto, per l’adattamento dei prodotti alle caratteristiche dei Paesi di destinazione, per l’acquisizione di informazioni sulle abitudini di consumo e sulle normative.
Inoltre, gli investimenti all’estero generano ritorni in tempi più lunghi e possono dar luogo a vincoli di liquidità, in assenza di credito. Vi sono poi tutti i rischi legati a contratti stipulati con operatori stranieri, con la conseguente necessità di assicurarsi sui crediti all’export. Per questo in Italia opera la Sace (Servizi assicurativi del commercio estero), che però tutela solo una piccola parte delle somme esposte.
E ancora: raggiunto il mercato, il successo dell’impresa è correlato alla capacità di proporre beni di qualità sempre più elevata per cui i consumatori siano disposti a pagare prezzi maggiori. Quello di qualità è un concetto ampio, che comprende però – oltre al valore intrinseco del vino, nel nostro caso – innovazione di prodotto e comunicazione, per accrescere o mantenere l’immagine del brand. Tutto ciò, ha costi molto elevati.
Diventano perciò decisive le modalità con le quali gli istituti di credito selezionano le società da finanziare. Sostiene Quintieri: “Se esse, come avviene di solito, antepongono la solidità finanziaria di un’impresa guardando alla storia passata e alla qualità dei collaterali, piuttosto che alle potenzialità sui mercati esteri, ciò finirà col privilegiare le imprese più grandi, già presenti all’estero, rispetto a quelle di minori dimensioni (…). Se questi problemi hanno portata generale, appaiono tuttavia più rilevanti per il caso italiano, caratterizzato da una forte presenza di imprese medio-piccole”. Tutto ciò è addirittura esasperato nel settore agricolo e vitivinicolo.
Ecco perché alcune banche cercano soluzioni, ad esempio un differente sistema di rating delle imprese vinicole. Anche il ministro Catania è intervenuto sul tema: «Dentro il decreto liberalizzazioni», ha dichiarato a un recente convegno, «è previsto anche un fondo di credito (non ingentissimo, dato il periodo) che vuole mettere in moto un meccanismo virtuoso, con accesso più semplice alle risorse finanziarie».
In definitiva, l’Ocm vino ha inebriato il sistema e ha determinato politicamente un nuovo panorama per lo sviluppo (e in questi anni la salvezza) del sistema. La fase due dovrebbe essere chiedere all’Europa, come sa bene il ministro De Castro, presidente della Commissione agricoltura a Bruxelles, di sostenere le imprese nel percorso, con ciò che serve di più, come sanno tutti i viaggiatori: la benzina. Senza credito il viaggio sarà entusiasmante, ma breve.

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© Riproduzione riservata - 10/04/2012

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