Oltrepò, terra promessa da riscoprire
A lungo l’Oltrepò è stato considerato l’outlet del vino italiano. Oggi la regione vitivinicola compresa tra Voghera, Stradella e Varzi si impegna per ritrovare la propria identità territoriale. Sotto i riflettori c’è il Pinot nero (anche in rosso), senza tralasciare Barbera e Croatina.
Si beveva il vino nella scodella da latte in Oltrepò, per tradizione contadina, ma anche perché era lo strumento col quale assaggiavano i mediatori. Così il territorio è diventato l’outlet italiano dello sfuso. Si è sfruttata la naturale vocazione di colline, suoli calcarei e clima. Il record di ettari di un vitigno nobile e difficile come il Pinot nero lo dimostra. Oggi però siamo all’inizio di un’affascinante riscoperta.
Come è diventato l’outlet del vino
In Oltrepò storicamente s’imbottigliava solo il 30% della produzione. A Canneto Pavese negli anni Settanta del secolo scorso era vitato il 96% del comune. Negli Ottanta gli ettari di tutto l’Oltrepò arrivarono a 17 mila (oggi sono 13.500). Era la Sibari dei milanesi, l’enodotto verso Piemonte, Veneto e Trentino che fanno il prezzo dello sfuso. Poi è arrivata la “carta”. Né asso nella manica né carta di credito e un po’ entrambe. È il diritto a produrre vino sulla carta, in base a ettari vitati e disciplinare di produzione.
I problemi della “carta”
Sull’Igt Provincia di Pavia Pinot grigio sono previsti fino a 200 quintali a ettaro. Contro i 65 necessari per dar vita a un Pinot nero in rosso di qualità o contro rese ancor più basse alla ricerca di maturazioni fenoliche della Croatina. Ai viticoltori che non riescano a raccogliere dal proprio vigneto tutta l’uva consentita, avanza una montagna di “carta”. Una dote preziosa per chi volesse comprare vino da fuori. Uno studio della Regione Lombardia ha stabilito un costo di 6.500 euro a ettaro per la produzione di uva in Oltrepò, circa 85 euro per quintale d’uva (a 110-120 q/ha + 20 euro/q per la trasformazione). Le cooperative pagano le uve tra 52 e 58 euro. Il problema non è passato inosservato alla magistratura.
Oltrepò, una regione profondamente vocata
L’apice di queste contraddizioni si è raggiunto forse con lo sversamento doloso ai danni dello stabilimento di Scorzoletta dei Conti Vistarino: 5 mila ettolitri, l’equivalente di quasi 700 mila bottiglie, un fiume di vino tale che ad accorgersi dell’accaduto è stata la società di gestione delle fognature di Stradella. Da allora qualcosa è cambiato e l’Oltrepò sta ritornando dai castelli di “carta” alla propria identità di regione vitivinicola profondamente vocata per clima, suolo, morfologia e uve nobili.
Clima fresco e continentale
Fresco – più di quanto si pensi – e continentale, mitigato dall’influenza mediterranea che sale dalla Liguria, l’Oltrepò nel mese di luglio – il più caldo dell’anno – registra una temperatura media di non oltre 23,3 °C. In agosto non si registrano picchi oltre i 30 °C. Stradella, dove il Po vira a settentrione, è la punta più a nord degli Appennini. Non è un caso che questa terra nasca con la vocazione per le bollicine. A ciò si aggiunga che il territorio qui è collinare.
L’origine di Chardonnay e Pinot nero in Oltrepò
Il resto lo fa il suolo appenninico, spesso calcareo e quindi ideale per non troppa vigoria delle piante e un equilibrato drenaggio dell’acqua. Abbinato a varietà d’uva nobili come Chardonnay e Pinot nero, risalenti alla metà dell’Ottocento. Le prime notizie datano 1848 la Cantina Montelio e 1865 quella dei Giorgi di Vistarino, anche se entrambi sono qui da secoli prima. L’età delle viti è l’ultimo ma non ultimo fattore della maggiore complessità dei Pinot nero di queste zone.
Tag: Conte Vistarino, Oltrepò Pavese, Pinot neroL’articolo prosegue su Civiltà del bere 1/2019. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 20/02/2019