Scienze Scienze Riccardo Oldani

L’atlante genetico delle varietà italiane

L’atlante genetico delle varietà italiane

Ricercatori di tutta Italia hanno contribuito all’analisi genetica di oltre 600 vitigni per definire una mappa dei legami e delle discendenze che hanno plasmato il nostro attuale ricchissimo patrimonio varietale. Ne sono scaturiti anche risultati inaspettati.

Gli studi sulla genetica dei vitigni si stanno moltiplicando e stanno producendo risultati particolarmente interessanti per un Paese, come l’Italia, che vanta la più elevata biodiversità, con quasi 600 varietà coltivate. Indagare il genoma delle tante uve dei nostri vini fornisce risposte molto importanti, non solo per gli scienziati ma anche per i produttori. Consente per esempio di appurare le loro parentele e di ipotizzare, di conseguenza, la loro storia, il percorso che hanno seguito per diffondersi nella Penisola. Ma permette anche di risolvere problemi di nomenclatura, per esempio omonimie o sinonimie, che rischiano di generare confusione.

Uno studio importante

In questo filone si inserisce anche un’importante ricerca, che ha visto il contributo congiunto di numerosi gruppi di ricerca per realizzare un atlante delle varietà di vite italiane. I risultati di questo lavoro sono apparsi lo scorso gennaio in un articolo sulla rivista scientifica online “Frontiers in Plant Science”. Vi hanno partecipato ricercatori dell’Università di Pisa, del CREA, delle Università di Modena e Reggio, Foggia, Palermo, Torino della Tuscia e, ancora, del CNR-IPSP di Torino. Un lavoro collegiale che ci siamo fatti raccontare da uno dei suoi autori, Giorgio Tumino, oggi in Olanda, all’Università di Wageningen, ma che al tempo dello sviluppo di questo progetto (denominato Vigneto) era in forza al Centro di ricerca di Genomica e Bioinformatica del Crea di Fiorenzuola d’Arda (in provincia di Piacenza).

L’unione di due progetti

«Questo lavoro», dice Tumino, «ha preso le mosse da un progetto finanziato dal ministero delle Politiche agricole e denominato Vigneto, con cui sono state sequenziate una cinquantina di varietà italiane. I risultati sono poi stati usati da un consorzio internazionale per sviluppare un nuovo SNP Array (pronuncia “snip array”), un sistema di genotipizzazione di varianti di singola base nucleotidica. Questo nuovo strumento riesce a saggiare circa 20.000 punti del genoma ed è stato poi utilizzato per studiare, sempre nell’ambito del progetto Vigneto, il genoma di circa 350 varietà italiane, perlopiù iscritte nel Registro Nazionale. Nello stesso periodo un altro gruppo di ricercatori italiani ha usato lo stesso strumento, nell’ambito del progetto Ager, per una ricerca analoga. Alla fine sono state circa 615 le varietà italiane genotipizzate da queste due iniziative». Si è deciso quindi di unire i risultati, anche perché una maggiore quantità di dati facilita le analisi statistiche per individuare eventuali parentele tra le varietà.

Antenati noti e meno noti

Quali sono stati i risultati più eclatanti di questo lavoro? «La cosa più interessante», dice Tumino, «è stata l’identificazione di alcuni vitigni ancestrali, alcuni dei quali erano già noti, da cui si può far discendere un gran numero di vitigni italiani. Un esempio è la Garganega. Altri però non erano così noti, come per esempio il vitigno Visparola. Questa uva non era del tutto sconosciuta. Era già stata oggetto di uno studio precedente che però non aveva messo in luce la sua importanza come progenitore di buona parte dei vitigni italiani. In realtà la varietà, nota come Visparola in Sicilia, si è rivelata nel nostro lavoro un antenato di molti vitigni, soprattutto del Centro-Sud Italia». Gli studi hanno rivelato una sua presenza sotto traccia, come vitigno minore, in varie aree italiane, dove è presente con appellativi diversi, come Crepolino e Cascarello in Toscana oppure Scacco in Emilia Romagna.


Il percorso ipotizzato che Visparola (in rosso) e Sangiovese (in blu) hanno seguito nella loro diffusione attraverso la Penisola italiana. Come percorso alternativo la Visparola potrebbe anche essere “fuoriuscita” nei Balcani, per dare origine a Pergolese di Tivoli e Malvasia Bianca Lunga. Varietà che a loro volta potrebbero essere state importate in Italia per originare vitigni ora diffusi nel Nord-Est.
Fonte: Parentage Atlas of Italian Grapevine Varieties as Inferred From SNP Genotyping, da Frontiers in Plant Science, 15 gennaio 2021.

L’origine del Sangiovese

Tra i discendenti della Visparola figurano molte varietà ben note. Un esempio è il Carricante, figlio anche dello Strinto Porcino. Ma il più importante potrebbe essere nientemeno che il Sangiovese. La genealogia di quella che è senz’altro una delle più emblematiche uve italiane era stata ipotizzata da studi precedenti, ma i risultati ottenuti con quest’ultimo lavoro congiunto ne impongono una riconsiderazione. «L’ipotesi più probabile», dice Tumino, «è che il Sangiovese sia da un lato discendente diretto dello Strinto Porcino e, per l’altra linea parentale, sia legato alla Visparola. Parliamo di “ipotesi” perché con gli strumenti di cui disponiamo in questo momento possiamo identificare con certezza i due genitori di un vitigno quando nel nostro set di dati abbiamo a disposizione tutti e tre gli individui che costituiscono una famiglia, cioè i due genitori e il figlio. Nel caso del Sangiovese abbiamo solo uno dei due genitori, lo Strinto Porcino, mentre non conosciamo il secondo. Ma possiamo supporre, in base ai dati, che la Visparola sia un antenato, per esempio un nonno».

Dalla Grecia in tutta Italia

Sempre la Visparola, poi, sembra essere anche genitore di due importanti progenitori balcanici, Vulpea e Alba imputotato. Entrambi sono presenti anche in Italia con nomi locali, come per esempio la Bisetta (per Alba imputotato) in Emilia Romagna e la Doretta o Rossetta (per Vulpea), che si trova in Friuli. Quest’ultima sarebbe anche genitore di diversi importanti vitigni italiani del Nord Est come, per citarne uno soltanto, la Glera, da cui si produce il Prosecco. «Sarebbe importante», osserva Tumino, «riuscire a confermare anche questa ipotesi, che sembra indicare come un vitigno oggi considerato minore, la Visparola appunto, un tempo fosse diffuso in Italia a tal punto da dare origine a molti vitigni oggi importanti su tutta la Penisola». Partendo da evidenze di questo tipo gli studiosi italiani hanno avanzato anche alcune ipotesi sui percorsi seguiti dai vitigni “antichi” per diffondersi, nel corso del tempo, nel nostro Paese. Si è anche fatto un tentativo per guardare al passato. «Per la Visparola», osserva ancora l’esperto, «abbiamo per esempio ipotizzato un’origine greca, dato che in territorio ellenico si trova un fratello di questo vitigno, denominato Avgoustiatis».

Perché servono questi studi

Perché sono utili studi di questo tipo? «Dal punto di vista tecnico», dice Tumino, «è importante aggiornare gli strumenti genetici a nostra disposizione per creare profili varietali e, in ultima analisi, certificare le varietà stesse. Anche individuare sinonimi e omonimi è utile, per comprendere meglio la ricchezza varietale italiana, aggiornare il Registro e poi, in ultima istanza, dare anche un contributo ai produttori per spiegare e raccontare meglio i loro vini. Così come un vignaiolo ama narrare la storia dei suoi vigneti, altrettanto significativo è saper tracciare le origini dei vitigni, che non è un esercizio fine a se stesso, ma serve a valorizzare gli autoctoni».

Il database e nuovo impulso alla ricerca

Un altro risultato importante che scaturisce da questo lavoro è poi la creazione di un grande database delle varietà italiane con profili basati sui marcatori “snip”. Questo grande sforzo congiunto costituisce poi un seme per nuovi studi. «Ne sono scaturiti, per esempio, due studi sui Moscati», conclude Tumino, «per determinare le loro origini e anche per sviluppare sviluppare un nuovo saggio analitico basato su Digital PCR, che serve a capire se una varietà potrà dare origine a vini con un aroma pronunciato di Moscato».

Foto di apertura: mosaico raffigurante Dioniso ritrovato a Paphos – Cipro

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© Riproduzione riservata - 18/05/2021

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