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Un libro ripercorre la storia viticola dell’Alta Val d’Agri (e non solo)

Un libro ripercorre la storia  viticola dell’Alta Val d’Agri (e non solo)

Il volume è curato dall’archeologo e ricercatore Stefano Del Lungo, che ha ribaltato alcuni luoghi comuni: ad esempio, quello secondo cui sono stati i Greci ha portare la viticoltura in Italia).

«Si dice sempre che i Greci hanno portato in Italia la viticoltura, ma non ci si è mai posti la domanda su come avrebbero fatto». Lo ha ripetuto di recente Stefano Del Lungo, archeologo, ricercatore Cnr-Ispc (Consiglio nazionale delle Ricerche – Istituto di Scienze del patrimonio culturale) e responsabile del gruppo di ricerca misto (Cnr, Crea e professionisti dei settori archeologico e archivistico). L’occasione è stata la presentazione all’Istituto Geografico Militare di Firenze del volume da lui curato, intitolato Fra le montagne di Enotria. Forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri. Un libro edito dallo stesso Igm (150 anni di storia alle spalle celebrati nel 2022) nell’ambito della più ampia ricerca su “l’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri”.

Focus sull’Alta Val d’Agri

Tornando all’affermazione iniziale (i Greci hanno portato la viticoltura in Italia, «lo studio dimostra esattamente il contrario», ha spiegato Del Lungo. «Segue le tracce dei Greci prima e dei Romani poi nella penetrazione dei territori appenninici, alla ricerca proprio di quelle uve e di quei vini che poi portarono con sé in madrepatria».
Per dimostrarlo lui e una équipe di ricercatori hanno suddiviso il volume in sette capitoli. Vi si descrive l’Alta Val d’Agri, in Basilicata. Fu uno dei terminali delle esplorazioni greche e poi della colonizzazione romana dell’entroterra lucano, qui ricostruita nel suo terroir (ambiente, uomo e varietà).

Val d'Agri
La copertina del libro curato da Stefano Del Lungo

Non furono i greci a portare la vite in Italia

È proprio nel capitolo da lui stesso redatto che Stefano Del Lungo ha rivelato informazioni che hanno quasi disorientato il folto uditorio. Del Lungo in pratica abbatte il luogo comune di una civiltà greca che avrebbe introdotto nella penisola italica la coltura e la civiltà della vite. Secondo la sua indagine, infatti, i primi coloni nell’VIII secolo a.C., provenienti in maggioranza dalla Grecia continentale, si stabilirono nelle isole e sulle coste. In loro era vivo preconcetto di un entroterra da evitare, perché ostile, pericoloso e incolto.
«Abbiamo ricostruito con prove concrete e riscontri documentati la cultura e la mentalità che guidano gli stanziamenti dei coloni», ha detto. «È evidente la loro sorpresa di trovarsi di fronte una civiltà evoluta, esperta produttrice di un bene primario (il vino), prezioso quanto i ricercati metalli, soprattutto il ferro e il rame. Attraverso la genetica, le fonti classiche trovano riscontro nelle varietà di vite, recuperate di recente in anni di esplorazione di vecchi vigneti nell’entroterra appenninico, con risultati sorprendenti».

L’arrivo del Syrah in Francia

Le sorprese del convegno fiorentino non finiscono qui perché Del Lungo ha una spiegazione anche riguardo all’introduzione della varietà Syrah nei vigneti della valle francese del Rodano.  
«Fra il VI e il V secolo a.C., grazie alla colonia ionia di Elea (Velia) nel Cilento, prende infatti la via di Marsiglia; con i Greci si diffonde nella media valle del Rodano. A lungo vi mantiene il nome antico, Serine, prima di mutarlo nel moderno Syrah, più esotico ma fuorviante. Con la Persia non ha niente a che vedere ed etimologicamente mantiene in sé l’eredità del nome nelle forme sibarita e sannita (Sirica). I Romani lo trasformeranno in Siriaco, nella documentata consapevolezza di una relazione diretta con le regioni campana e lucana. E non con il Vicino Oriente come oggi preteso sul web e non solo».

L’Alta Val d’Agri oggi

Aldilà di queste interessanti indagini, Fra le montagne di Enotria è un dettagliato excursus sul territorio e sull’antico paesaggio viticolo dell’Alta Val d’Agri. Una realtà che è oggi affidata alla valorizzazione dell’omonima Doc (riconosciuta nel 2003) e allo sparuto gruppo di produttori che con una cinquantina di ettari di vigne produce circa 100-150 mila bottiglie di vino all’anno. Se oggi l’ampelografia locale si basa prevalentemente sulle varietà Merlot, Cabernet e Chardonnay, è in corso il recupero di numerosi vitigni autoctoni. Qualche nome? I bianchi Giosana, Santa Sofia, Malvasia ad acino piccolo, Ghiandara (Aglianico bianco), e i rossi Colatamurro e Plavina.

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