La sostenibilità è una pratica collettiva
La difesa dell’ambiente e la sostenibilità, che negli anni sono diventate un patrimonio condiviso, coinvolgono e animano anche il mondo del vino, sempre più attento all’impatto economico-sociale del suo operato. Ecco una riflessione sul tema del giornalista Luciano Ferraro.
Quando le Tute bianche di Luca Casarini, nel G8 del 2001 a Genova, chiesero di entrare nella zona in cui si riunivano i Grandi del mondo, le loro rivendicazioni contro il globalismo e le disparità planetarie sembravano una riedizione del movimento degli anni ’70, senza più forza e masse. Vent’anni dopo, la difesa dell’ambiente e la sostenibilità, intesa anche inclusione sociale da parte dell’impresa verso il territorio e la comunità, sono diventate patrimonio collettivo. Quasi indispensabile se un’azienda, non solo nel mondo del vino, intende presentarsi ai mercati con un’immagine al passo coi tempi.
Cosa è cambiato in 20 anni
Cosa è accaduto, la nostra coscienza sociale si è evoluta? Non proprio, si è trattato di una presa d’atto, ha spiegato il filosofo Massimo Cacciari. I no global, è la tesi dell’ex sindaco di Venezia, sono stati sconfitti perché le loro idee sono diventate patrimonio delle imprese. «La sostenibilità», sostiene Cacciari, «è diventata fattore fondamentale e intrinseco del salto tecnologico. Potrà sopravvivere soltanto chi organizza i propri fattori di produzione in modo da certificarne la compatibilità con l’ambiente. E non si tratta affatto di tattica, di convenienze spicciole, di mercato dell’immagine».
La sostenibilità nel mondo del vino
Così si spiega la nascita di un nuovo spirito ecologico che ha leader impolitici e privi di ardori rivoluzionari, come Greta. Ragazzi che vogliono una migliore gestione del mondo esistente, non la marxiana sovversione dello stato delle cose. Questo nuovo spirito aleggia sulle Cantine italiane. Piccoli vignaioli e grandi imprenditori fanno ormai a gara presentando pratiche verdi, azioni inclusive, bilanci di sostenibilità. Dall’anno scorso c’è una legge che consente una certificazione dei vini sostenibili. Uno stimolo per attuare la transizione ecologica prevista e finanziata dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Una norma di semplificazione, una sorta di vademecum verde per il vino e anche per il made in Italy.
Il caso di Firriato
Molte le aziende che si sono già distinte nella tutela dell’ambiente. Come la siciliana Firriato, 5 milioni di bottiglie l’anno, diventata a impatto zero. Con azioni che, per ottenere l’attestato di Carbon neutrality, includono il rimboschimento delle foreste pluviali del Madagascar e l’installazione di un impianto per la produzione di energia eolica da 45 MW in Karnataka (India). Progetti promossi da organizzazioni internazionali in Paesi in via di sviluppo, per la compensazione di CO2.
Un concetto più ampio di buone pratiche
Ma, come chiarisce il nuovo decreto, non si tratta solo di evitare l’inquinamento in campagna e di risparmiare risorse usando energie alternative. Le aziende saranno certificate sulla base dei risultati nelle pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Gli esempi di queste pratiche socio-economiche già ci sono. Dall’accoglienza dei profughi che hanno trovato lavoro nella Cantina di Marco Caprai in Umbria, al lavoro dei detenuti nella produzione di vino, voluto all’isola di Gorgona da Lamberto Frescobaldi, assieme al ministero della Giustizia. Dal coinvolgimento di un intero paese, Sorbo Serpico, nella vita dell’azienda (cineforum compreso), perseguito da Antonio Capaldo di Feudi di San Gregorio, in Irpinia.
Una nuova idea di vino “giusto”
Più di 600 produttori da 12 Paesi hanno aderito al Sana Wine Festival a Bologna, organizzato a marzo da Slow Wine Coalition, presentando le loro bottiglie “buone, pulite e giuste”. Interpretando il nuovo spirito, l’accento è stato messo anche sulle pratiche sociali. Come gli stipendi più alti della media pagati ai dipendenti di Marotti Campi di Morro d’Alba “perché abbiamo bisogno di instaurare rapporti di lungo termine e di fiducia con le persone con cui lavoriamo”.
È importante sapersi raccontare
Se la sostenibilità sta diventando quindi pratica collettiva, come comunicarla senza rischiare la banalità? Bisogna saper raccontare le proprie scelte, spiegare, usare tecniche narrative e avere idee per i nuovi media. È una sfida nella sfida che il mondo del vino italiano deve affrontare, attrezzandosi al meglio.
Foto di apertura: nel nostro settore tutti gli attori fanno ormai a gara presentando pratiche verdi, azioni inclusive, bilanci di sostenibilità © A. Burden – Unsplash
Tag: sostenibilità, tutela dell'ambienteQuesto articolo è tratto da Civiltà del bere 1/2022. Acquista
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© Riproduzione riservata - 12/04/2022