Scienze Scienze Riccardo Oldani

La siccità non fa poi così male. Parola di Sangiovese

La siccità non fa poi così male. Parola di Sangiovese

La vite non è una coltura a cui serve molta acqua. Ma lunghi periodi siccitosi, che potrebbero farsi più frequenti con il cambiamento del clima, possono limitarne vigoria e resa. Uno studio sul vitigno Sangiovese condotto dall’Università di Pisa mostra però che lo stress idrico potrebbe anche migliorare colori e aromi. A patto di saperlo controllare.

Gli effetti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sulle aree di produzione del vino sono da tempo all’attento vaglio degli studiosi. Il principale timore, di cui si parla da anni, è che la desertificazione di alcune aree mediterranee e il progressivo innalzamento delle temperature nelle regioni più settentrionali dell’areale di produzione europeo possano determinare uno spostamento verso nord delle condizioni ideali per alcuni vitigni. Cosa succederebbe allora se il Nero d’Avola, per esempio, trovasse un pedoclima ideale in Toscana, anziché in Sicilia? O se la zona ottimale di produzione del Sangiovese si spostasse a ridosso delle Alpi?

Cogliere le opportunità

Di fronte a eventualità di questo genere i produttori si preoccupano. Tutto il sistema delle denominazioni di origine e dei consorzi di tutela dovrebbe essere rivisto, riadattando disciplinari e tradizioni profondamente radicati nelle culture dei territori. C’è però chi non è così apocalittico e ritiene che le condizioni mutevoli del clima possano essere messe a frutto e opportunamente utilizzate per migliorare la coltura di certe varietà e il prodotto finale, cioè il vino che ne deriva. È il caso del gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Università di Pisa, coordinato da Claudio D’Onofrio, che da tempo sta studiando gli effetti dello stress idrico su vari vitigni, tra cui Merlot e Sangiovese.

Due studi sul Sangiovese

Negli ultimi due o tre anni il team ha pubblicato diversi articoli scientifici sul tema. Due recenti, incentrati proprio sul Sangiovese, sono stati pubblicati entrambi sulla rivista scientifica “Frontiers in Plant Science” a ottobre 2022 e nel febbraio 2023.
Nel primo lavoro, i ricercatori pisani (Giacomo Palai, primo autore, Giovanni Caruso,  Riccardo Gucci e Claudio D’Onofrio) hanno provato a capire in quale modo uno stress idrico controllato, in determinate fasi dello sviluppo vegetativo della vite, possa influire sulla concentrazione nelle bacche di flavonoidi, composti diffusissimi nel mondo vegetale che hanno proprietà antiossidanti e conferiscono colore ai frutti.

Monitorare gli stress idrici

Nei vigneti utilizzati per i test è stato quindi fatto per due anni consecutivi un confronto tra viti irrigate normalmente e viti sottoposte a stress idrico in diverse fasi dello sviluppo vegetativo: dalla formazione della bacca all’invaiatura (cioè il momento in cui l’uva inizia a colorarsi); durante la fase di stasi di sviluppo della bacca (denominata “lag-phase” in inglese) e dall’invaiatura alla vendemmia. Per quanto riguarda la concentrazione di flavonoidi, e in particolare di antocianine, nelle bacche è emerso che la loro concentrazione è più elevata se si sottopongono le viti a stress idrico prima dell’invaiatura. Lo stesso effetto, anche se meno pronunciato, si verifica in seguito a stress idrico indotto dopo l’invaiatura.

Il controllo dei composti volatili

Nel secondo lavoro lo stesso team di ricerca dell’Università di Pisa ha esaminato l’effetto delle stesse strategie di stress idrico sulla concentrazione nelle bacche dei composti organici volatili (VOC), determinanti nella formazione degli aromi tipici del Sangiovese. Anche in questo caso si è visto come la concentrazione totale di questi composti cresca se lo stress idrico è indotto prima dell’invaiatura. Una particolare frazione di queste sostanze, però, quella glicosilata composta da terpeni, che costituisce circa il 30% dei composti volatili complessivi, era più elevata nell’uva sottoposta a stress idrico tra l’invaiatura e la vendemmia. Parliamo di brevi periodi in cui si privano le viti dell’apporto dell’acqua e che conducono, quindi, a una maggiore concentrazione di aromi nel frutto e nel vino.

Colore e aromi

In definitiva, se si inducono due brevi periodi di stress idrico prima e dopo l’invaiatura, si ottiene nel Sangiovese una più elevata concentrazione di flavonoidi e di composti volatili, che a loro volta determinano un colore più intenso delle bacche e aromi più percettibili e persistenti. I risultati di questi studi, commentano i ricercatori dell’Università di Pisa, “contribuiscono alla compressione degli effetti dell’intensità e della collocazione temporale degli stress idrici sulle bacche, e aiutano non soltanto a gestire l’irrigazione, ma anche a ottenere una più elevata qualità produttiva ottimizzando l’impiego dell’acqua”.

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© Riproduzione riservata - 04/09/2023

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