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La densità d’impianto ottimale? Dipende da terroir e vitigni

La densità d’impianto ottimale? Dipende da terroir e vitigni

La densità d’impianto, cioè il numero di viti per ettaro, è un aspetto agronomico fondamentale, ma non esente dall’influsso delle mode del momento. Per un certo periodo, negli anni Novanta, vigneti molto fitti erano considerati essenziali per la qualità, a imitazione del modello francese. Oggi, anche per effetto dei cambiamenti climatici, in Italia si propende per ridurre il numero di ceppi.

Negli anni Sessanta del Novecento la viticoltura italiana presentava aree relativamente specializzate e comprensori promiscui. Le prime corrispondevano a quelle zone dove non era possibile coltivare altro, con fittezze d’impianto funzionali all’ottimizzazione degli spazi. I secondi, più diffusi, contemplavano la presenza di viti “maritate” ad alberi da frutto o gelsi. Con gli anni Settanta e Ottanta la nostra viticoltura diventa una fonte privilegiata di reddito; serve quindi produrre molto, sostenendo però il prestigio delle aree storicamente più riconosciute. L’evoluzione dei mezzi agricoli porta a degli impianti specializzati con distanze sempre più larghe per una loro meccanizzazione, ma l’attenzione verso la qualità delle aree viticole di maggior pregio fa sì che nelle stesse si rispettino le antiche impostazioni a fittezza più elevata.

Anni Novanta: il modello francese

Con l’insorgere dell’esigenza di migliorare i vini, ispirandosi al modello francese si cominciano a stringere i sesti d’impianto. Con la possibilità di avere macchine idonee alle lavorazioni in contesti di viticoltura specializzata, da noi si avviano una serie di sperimentazioni per capire quale sia la fittezza d’impianto migliore. I limiti di resa dei disciplinari possono essere variamente interpretati. La stessa produzione su un numero di ceppi più alto aumenterebbe la qualità, garantendo quantità adeguate anche in annate difficili. Così gli anni Novanta si caratterizzano per la tendenza all’infittimento degli impianti, tra i 7.000 e i 10.000 ceppi per ettaro.


I vitigni italici e la fittezza d’impianto ideale

Nuovo millennio: scelte caso per caso

Con l’esperienza accumulata, oggi si conosce meglio come operare in differenti contesti. Le densità d’impianto esasperate raggiunte da alcuni produttori alla fine del secolo scorso, alla luce di una più mirata analisi costi/benefici, non sono più considerate automaticamente sinonimo di qualità. Le poche aziende che seguitano a realizzare impianti oltre i 7.000 ceppi per ettaro sono quelle che riscontrano una giustificazione qualitativa nel farlo e nicchie di mercato capaci di apprezzare e sostenere i costi dei loro vini; le altre si sono riportate su densità di 4.000-6.000 ceppi per ettaro.

Un esempio di impianto ad alta fittezza a Bolgheri, in Toscana © A. Scienza

Densità estreme e riscaldamento globale

Secondo Attilio Scienza, professore di Viticoltura all’Università di Milano, «la tendenza all’infittimento è ormai una moda passata, che ha riguardato soprattutto vitigni di origine bordolese e borgognona; con il cambio climatico e la desertificazione è necessario garantire uno sviluppo maggiore dell’apparato radicale, che viene viceversa ridotto dalla competizione tra piante molto vicine. Non a caso nella viticoltura mediterranea storicamente si sono sempre adottate densità non superiori ai 3.500 ceppi per ettaro, proprio per il loro contesto siccitoso». In sostanza, secondo il professore, l’emulazione del modello francese non è generalmente applicabile alla viticoltura italiana, se non in rari contesti e a costi elevatissimi; un’emulazione dovuta più a ragioni di immagine che qualitative, con un «cambiamento climatico in atto che farà giustizia di questi estremismi».

Le motivazioni agronomiche e enologiche

Per Marco Simonit, tra i maggiori esperti italiani di potatura, sono state più motivazioni enologiche che agronomiche ad indurre da noi a densità d’impianto esagerate: «Credo che in Italia non ci siano vitigni che possano essere piantati a 10.000 ceppi per ettaro; le nostre cultivar necessitano di sesti ampi e di ramificazioni importanti per non ottenere vini snaturati».

Foto di apertura: vigneto a impianto largo, a Montalcino, che consente un’elevata meccanizzazione © A. Scienza

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© Riproduzione riservata - 08/12/2021

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