La degustazione cieca
Quanto conta degustare alla cieca quando si giudica un vino?
Alla domanda risponde Daniele Cernilli (giornalista, direttore di DoctorWine nonché curatore della Guida essenziale ai vini d’Italia by DoctorWine). Il quesito della settimana è stato proposto ai candidati Masters of wine (Esame di teoria, 2017).
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Daniele Cernilli
Come in molte cose esistono pro e contro se parliamo di degustazioni “alla cieca” o “coperte” come si suol dire. I pro sono evidenti. Se si assaggia e si valuta senza conoscere l’etichetta e il produttore, non si rischia di essere condizionati in alcun modo da questi elementi. E questo rende il giudizio trasparente e indipendente, sempre che ci sia qualcuno di esterno al degustatore o alla commissione che garantisca l’effettivo anonimato dei campioni.
Non esiste un solo modo di degustare alla cieca
Poi ci sono diversi modi di fare degustazioni “coperte”. Al Concours Mondial de Bruxelles, ad esempio, i giudici non sanno neanche quale siano la tipologia e l’origine dei vini da valutare. È una “cieca” assoluta, insomma. Al Decanter World Wine Award, invece, almeno la provenienza dei vini e altre informazioni di carattere tecnico, come l’uvaggio, il residuo zuccherino, persino la fascia di prezzo, sono comunicati. Sono solo due esempi che fanno capire che anche nel mondo degli assaggi coperti esistono delle differenze d’impostazione. Personalmente preferisco sapere almeno la tipologia e l’annata dei vini che assaggio, perché penso di potermi parametrare meglio e di poter giudicare con più attendibilità.
Il rischio? Che diventi una trappola un po’ narcisistica
E veniamo ai “contro”. Quando si assaggia “alla cieca” la maledetta abitudine che qualcuno ha di voler indovinare i vini fa inesorabilmente perdere concentrazione, aspetto fondamentale quando si fanno assaggi e valutazioni. Anche i migliori degustatori se cadono in questa trappola un po’ narcisistica rischiano di perdere attendibilità focalizzandosi su aspetti poco importanti alla fine, se non per dimostrare ai presenti, e anche a se stessi, di essere dei veri fenomeni. A poco serve ricordare che quei giocolieri del basket che erano gli Harlem Globetrotter non hanno mai partecipato, e quindi mai vinto, l’NBA. Ma andiamo avanti.
I vantaggi della degustazione “in chiaro”
Esistono dei pro anche per la degustazione scoperta. Alcuni critici di valore, Robert Parker, il compianto Daniel Thomases, e molti altri, hanno sempre preferito assaggiare conoscendo vini ed etichette. Dovendo giudicare vini di tutto il mondo e dovendo prendere appunti indicando denominazioni e aziende spesso sconosciute, è indubbiamente più pratico. Assaggiando in solitaria, oltretutto, il lavoro molto complesso di anonimizzazione dei campioni si sarebbe rivelato veramente difficile da realizzare. La questione sta sostanzialmente nel grado di indipendenza che un assaggiatore ha, e non tanto nel modo con il quale vengono realizzati gli assaggi.
Il problema risiede nell’onestà intellettuale di chi giudica
Chi vuole barare ha molti modi per farlo, soprattutto se assaggia in una sede propria organizzandosi da sé, senza un reale controllo da parte di un soggetto terzo. Personalmente cerco di organizzarmi quanto più possibile nell’ambito dei Consorzi e delle Anteprime, dove si assaggiano vini di un determinato territorio con le bottiglie rese anonime dell’organizzazione. Non sempre e non ovunque ciò è possibile, ovviamente, ma quando si può fare la cosa risulta molto efficace per poter svolgere il lavoro di degustatore con calma, attendibilità e controllo. Ma, ripeto, il problema è molto più nell’onestà intellettuale di chi giudica e molto meno nelle modalità di assaggio. E questa potrebbe essere una conclusione ragionevole e non ipocrita alla “vessata quaestio”.
Tag: blind tasting, degustazione, degustazione cieca, giudicare il vino, guide vini, La Terza PaginaLa Terza Pagina, storica newsletter di Civiltà del bere, cambia volto.
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© Riproduzione riservata - 10/07/2020