La buona comunicazione, questa sconosciuta

La buona comunicazione, questa sconosciuta

Questa settimana la Terza Pagina anticipa l’editoriale di Luciano Ferraro, che sarà pubblicato sul numero di Civiltà del bere in uscita a fine mese, su un tema che ci sta davvero molto a cuore: la buona comunicazione.

È possibile che quella enologica sia ancora al Medioevo? A leggere le sue parole, c’è da sorridere per non piangere.

Come migliorare la comunicazione del vino?

Ho intervistato una star di Hollywood. Che c’entra con il vino? Nulla, in apparenza. Ma osservare come il mondo del cinema organizza i rapporti tra stampa e protagonisti del settore aiuta a riflettere sulle carenze professionali che ruotano attorno al pianeta vino.

Qui Hollywood

La trattativa per l’intervista con la star è stata lunga ma semplice. Sono stati discussi gli argomenti delle domande, è stato fissato il tempo a disposizione, è stato deciso il metodo di collegamento in rete. Un referente europeo della star si è occupato di definire anche i minimi particolari con me. Tutto chiaro e senza sorprese. Avevo chiesto che l’intervista fosse in esclusiva per l’Italia, e la condizione è stata rispettata. Avevo chiarito che avrei rivolto anche domande molto personali, anche sull’infanzia e sui traumi subiti dalla star: nessuno mi ha fermato.

L’efficienza dello staff

La star è stata così ben preparata dal suo staff, che si è presentata all’intervista salutando in italiano: «Ciao Luciano, come stai?». Poi si è lasciata trasportare dal ritmo delle domande e delle risposte, concedendo più tempo del previsto. Lo staff è intervenuto una sola volta, scusandosi per l’impossibilità di rispondere a una domanda che avrebbe richiesto un lungo discorso sul tema. Alla fine, di nuovo i saluti in italiano da Los Angeles. Poche ore dopo è arrivata la registrazione dell’intervista con la trascrizione e la traduzione. E poi è stata inviata una serie di foto, una delle quali inedita e in esclusiva.

E nella Milano da bere?

Abbagliato da tanta efficienza, ho sognato che il rapporto tra Los Angeles e il cinema potesse essere replicato a Milano con il vino e il cibo. In fondo la capitale della Lombardia è anche la capitale della moda, del design e, da anni, anche il punto d’incontro tra aziende del vino e comunicatori.
Nello stesso giorno dell’intervista con la star ho partecipato a un evento del vino e sono stato contattato per altri due nei giorni successivi. Tutti gestiti da uffici stampa che hanno tra i loro clienti alcune tra le più importanti Cantine d’Italia e di Francia. Impossibile non notare la differenza di metodo e stile.

Errori e cadute di stile

I colloqui con le responsabili degli uffici stampa milanesi sono stati degni di commedie dell’assurdo. Una ha argomentato che l’invito mi era stato spedito perché l’evento si sarebbe svolto nella regione dove sono nato (evidentemente pensava a un effetto “Carramba che sorpresa” magari incontrando un amico d’infanzia). Un’altra ha invitato insieme a me anche un collega della mia stessa testata motivando la scelta con questa divisione dei compiti: io avrei dovuto “far presenza”, il collega invece scrivere (e perché non un altro collega per formare il tavolo del Tre moschettieri?). Tutto ciò accompagnato da una serie di svarioni, come quello di fornire foto d’archivio invece di pensare alle foto dell’evento. E da una lunga lista di “non so, chiedi al produttore, non c’entro”, anche per le richieste più banali.

L’importanza di una comunicazione mirata

Disattesa la regola base che insegnano ai ragazzi del primo anno di Scienze della comunicazione: è un errore rendere uguali per tutti la comunicazione, il giornalista di una testata del settore parla a un pubblico diverso da quello di una testata generalista. Al primo interessa ogni dettaglio tecnico del prodotto, l’altro si concentrerà più sulla storia del produttore. Il giornalista che si dedica solo ai social ha esigenze diverse da quello del mensile su carta stampata. Sembrano ovvietà, ma capita spesso che vengano ignorate. Se fosse ancora vivo Luigi Veronelli, alcuni uffici stampa lo valuterebbero alla pari dell’ultimo arrivato tra i blogger.

Mancano educazione e professionalità

Il mondo del vino di qualità ha bisogno di comunicazione di pari qualità per crescere in Italia e nel mondo. Formazione, esperienza e basi culturali (oltre che buone maniere) sono essenziali per fare in modo che i mediatori tra aziende e pubblico (i comunicatori della carta e del digitale) trasmettano messaggi completi e corretti, adatti ai loro lettori e follower. Insomma, uno stile diverso da quello di un invito per “far presenza” e non scrivere.

Foto di apertura: Q. Al – Unsplash

Questo articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 02/07/2021

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