L’Ormeasco fatto bene può durare una vita

L’Ormeasco fatto bene può durare una vita

Un vitigno intrigante e ambienti di montagna danno origine a etichette di  struttura ed eleganti -È disponibile in tre versioni, anche rosé – Produzioni di nicchia che sono valorizzate dalle nuove generazioni

Chi ritiene che la Liguria sia terra di vini bianchi e non di rossi importanti si sbaglia, non conosce l’Ormeasco, un vitigno, un vino. La zona di produzione è l’alta valle Arroscia, in provincia di Imperia, ai confini con quella di Savona. La fascia dove si concentrano le viti è quella del comune di Pornassio, a 600 metri sul livello del mare. Nel 2003 con la revisione del disciplinare della Doc, la vecchia indicazione Ormeasco della Riviera ligure di Ponente Doc è stata cambiata in Pornassio o Ormeasco di Pornassio Doc, che consente di definire meglio il territorio di produzione e dare maggior identità al vino.
Il nome del vitigno si rifà alla città Ormea, in Piemonte, e viene citato per la prima volta in un documento datato 16 gennaio 1299 in cui erano descritte le varietà delle viti e delle piante da frutta da impiantare nel territorio. Per la scienza si tratta di un sinonimo del Dolcetto e tuttavia si presuppone che in oltre 700 anni d’adattamento in ambiente diverso dall’originale abbia assunto qualche particolarità. Gli anziani del posto lo chiamavano vitigno mutato. Uno dei primissimi a riscoprirlo e a rivalutarlo è stato Tommaso Lupi, contitolare dell’azienda di famiglia di Pieve di Teco. L’epoca è il 1961/62, e, a quel tempo, Tommaso Lupi imbottigliava vino e abitava a Imperia. Stanco dei rossi allora di moda che non lo soddisfacevano, si mise alla ricerca di un rosso del territorio che potesse competere con quelli da lungo invecchiamento più rinomati. Gli venne indicata l’alta valle Arroscia. Arrivato sul posto, scoprì che le uve avevano tutte le caratteristiche per un vino importante: buccia spessa, grappolo non compatto e vinaccioli grossi. Ai primi assaggi fu entusiasta e decise di acquistare le uve dei contadini per vinificarle in proprio. Lo sviluppo dell’Ormeasco non fu costante: alla scarsa produzione si affiancarono le viti di Dolcetto provenienti dal Piemonte da cloni di grandi produzioni e il vino perse un po’ la sua identità.
Ora gli equilibri sono stati ripristinati e la percentuale del vitigno originale è salita di parecchio. Attualmente le colture, oltre che a Pornassio, si estendono a corona attorno a Pieve di Teco, partendo da 200 metri sino a oltre 700 sulle pendici appenniniche e alla base delle Alpi nella valle percorsa dal torrente Arroscia. Le due sponde del fiume hanno terreni simili ed è la loro esposizione a dare uve di maggior eleganza da un lato e di maggior carattere dall’altro, sta al produttore decidere come interpretarle nel vino. Il territorio è caratterizzato da forti escursioni termiche, specie d’estate, e le uve ne beneficiano per profumi e per una maturazione lenta che garantirà lunga vita al vino. Complessivamente si tratta di 40 ettari iscritti alla Doc, per un totale di circa 200 mila bottiglie prodotte da una ventina di aziende. La quasi totalità del vino è consumata in provincia di Imperia e nelle due vicine Savona e Genova. Qualcuno lo commercializza fuori regione.
La via più semplice per apprezzare l’Ormeasco, oltre a trovarlo in qualche enoteca illuminata, è raggiungerlo sul territorio. Qui è più facile assaggiarlo nelle tre versioni: rosato, giovane e maturo. È prevista anche la tipologia passito, ma ben pochi lo producono. L’Ormeasco rosato è chiamato Sciac trà ossia “schiaccia e togli”, riferendosi al tempo breve di contatto tra bucce e mosto. Un tempo era il vino di beva immediata, e le vinacce poco spremute venivano aggiunte a quelle del rosso per dargli maggior corpo; ora si ragiona diversamente, si parte dalla vigna dove le uve destinate al rosato vengono raccolte con la giusta acidità. La versione del rosso giovane in acciaio è la preferita dalla maggior parte dei produttori ed e quella più disponibile. Il rosso maturato in legno è prodotto da pochi, e di solito dalle uve della tipologia Superiore. Secondo il patriarca Lupi, se vinificato bene nell’annata giusta, l’Ormeasco dura una vita. Affinché possa esprimersi come conviene, il rosso giovane andrebbe messo in commercio almeno due anni dopo la vendemmia, il rosso maturato in legno, almeno cinque.

Un grappolo di Ormeasco

Una panoramica delle potenzialità dell’Ormeasco nella versione giovane è stata data a fine febbraio in una degustazione organizzata a Pieve di Teco da Massimo Lupi, che ha coinvolto alcuni produttori. I presenti non erano molti e però rappresentativi di una realtà in crescita, legata al vino spesso per affetto nei confronti del padre o del nonno che coltivavano con passione il vitigno, entusiasti della sua unicità. È il caso di una coppia che abita a Savona e si definisce pendolare del vino. Segue l’a-zienda da due anni, dalla scomparsa del padre di lei, ha già previsto nuovi impianti e ha scelto di produrre anche la grappa dell’Ormeasco selezionando una distilleria quotata del Piemonte. Per la maggior parte delle aziende l’Ormeasco, rimane un misto tra curiosità e passione, e quindi la produzione è una piccola percentuale sul totale rivolto ai bianchi Vermentino e Pigato. Ciò non toglie che l’impegno produttivo verso il rosso locale sia tangibile e nuovi impianti, seppur di dimensioni limitate, si stanno profilando all’orizzonte. Per tradizione l’Ormeasco maturo si apprezza sulla selvaggina, ma anche più semplicemente sulla cucina definita bianca, o anche delle malghe a base di latte, burro e formaggio. Un tempo i pascoli erano frequentati da bovini e da pecore di razza Brigasca, ora sostituite in parte dalle capre, i formaggi sono sempre gustosi e molto richiesti. L’abbinamento con l’Ormeasco giovane più gradito in zona è con un piatto robusto di baccalà, reperibile facilmente a Pieve di Teco, nelle caratteristiche botteghe sotto i portici del Seicento. La cittadina, tra l’altro, nasce attorno al Duecento su quella che era definita la via del sale e che collegava la costa con i valichi di montagna e di frontiera. Salendo da Pieve di Teco verso Pornassio, si possono notare due cime vicine: Missun e Bertrand; Bertrand tocca quota 2.450 metri e là è già Francia.

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© Riproduzione riservata - 02/08/2011

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