Internet tra visioni e realtà

Internet tra visioni e realtà

Chi siamo noi per scrivere dei sogni degli altri? Si sono appena conclusi il 45° Vinitaly e la ProWein di Düsseldorf e qualche considerazione ci sentiamo in dovere di farla, sullo iato tra visioni e realtà. Ma non vogliamo essere allarmisti, intendiamo solo fare luce su alcuni aspetti oscuri delle visioni strategiche settoriali.

La crisi è passata, questo sembrano voler dire, seppur a denti stretti, i nostri produttori vinicoli. I primi mesi del 2011 segnalano una certa vivacità. Il 2010 si è chiuso bene, dicono in molti, e anche i dati del Global Trade Atlas (Eurostat) indicano un aumento delle vendite italiane in Germania, nostro primo mercato estero, sia in volumi sia in valore. Sorpassiamo la Francia che accusa segni di affanno, fiere comprese, dato che ci giungono rumori di crisi per la blasonata Vinexpo.

In Germania l’Italia rappresenta il 42,7% in volume (Francia 16,9%) e il 36,2% in valore (Francia 29,4%). E tanto per sfatare il mito della superiorità d’Oltralpe, un litro di Bordeaux è stato venduto mediamente nel 2010 a 3,94 euro, mentre un litro di vino toscano (non specificato) a poco di meno, 3,38 euro. Alcuni vini italiani, poi, vivono addirittura un momento trionfale: il Prosecco, ad esempio, sembra aver centrato il segno con il varo della Doc “allargata” e della Docg Conegliano Valdobbiadene. Ne ha beneficiato la versione base, con aumenti di prezzo ben assorbiti dal mercato. Anche il Brunello, nonostante sia sempre sotto il tiro dei media (e soprattutto dei blogger), nel 2010 è andato bene, con un calo sensibile delle giacenze, dato che più di tutti ci dice se il vino si vende.
Insomma, nei tempi del post-crack la nostra industriosità sulle piazze storiche, e nei nuovi mercati, è innegabile. E così si giustifica anche il dato appena divulgato da Mediobanca, sulla previsione del 2011 il 53% degli intervistati (le 103 principali società di capitale operanti nel settore vinicolo) si dichiara ottimista con crescite del fatturato superiori al +3%. Infine, i contributi dell’Ocm stanno dando ossigeno alle imprese, che pigiano l’acceleratore sulla promozione all’estero. Se questi sono i risultati, la strategia funziona, da un lato portando alla dismissione ettari di vigna in eccesso, dall’altro sostenendo le aziende sane in azioni di marketing (specialmente extra Ue).

Il dubbio è sulla solidità del sistema e sulle azioni in campo nel mercato internazionale e domestico. Se è vero che il consumo interno è un falso problema, nel senso che le aziende italiane non devono concentrarsi su di esso perché l’offerta supera di molto la domanda, e il consumo italiano è in inesorabile calo, è prevedibile che lo scenario del commercio cambierà, anche a breve, abbattendo di fatto i confini, del tutto convenzionali, tra dentro e fuori. Pare infatti che stia evolvendo a ritmi 2.0 o forse anche 3.0 il modo di vendere, che la ricerca di nuovi consumatori abbia creato un’intricata rete di canali: agenti diretti e indiretti, distributori, importatori, vendite in cantina o via internet, negozi reali e virtuali… tutti vendono tutto e le Cantine, che prima si preoccupavano di incontrare due volte l’anno i capi area o qualche agente di zona o, all’estero, distributori e importatori, ora sognano, specialmente attraverso la rete, di moltiplicare i contatti e sostenere così la crescita. Forse i piccoli produttori, humus del nostro sistema, ne stanno traendo anche un grande beneficio: alcuni nostri vigneron passano ormai mezza giornata tra le viti e l’altra mezza connessi alla rete, ai social network e si stanno creando un giro di ammiratori e clienti. Chi ha organizzazioni più complesse e numeri importanti, dalle 200 mila bottiglie in su, però, rischia di farsi male nella rete, in un mare pieno di esperti, che amano sovente più se stessi del vino. Dove si urla per esistere, dove non si “fa” il mercato e dove il mercato, i buyer, i professionisti, impegnati a scegliere o “spiegare” il vino, raramente si perdono. Certamente la rete è onirica ma reale al contempo, è ormai una componente del nostro tessuto connettivo. Sullo smartphone passiamo ore, cerchiamo tutto, prenotiamo aerei, ordiniamo sushi e forse compreremo anche del vino. Ma è uno strumento, come lo era la carta alle sue origini: una rivoluzione che consentiva una straordinaria diffusione della conoscenza.

Si devono ancora definire i contorni del mezzo. Non può tutto, non creerà un filo diretto con l’universo degli utenti che vivono e gustano vini sulla base dei post, del rating o dei commenti di Trip Advisor. Alla ricerca di autorevolezza, nasceranno probabilmente guru o nuove testate, o quelle dell’era Gutenberg staranno al passo coi tempi. Ma non è di noi, di media, che intendiamo parlare. Rimaniamo focalizzati sulla vendita: non è col buzz, col chiacchiericcio, che si conquistano clienti. Anzi, quel rumore può allontanare dalla conoscenza del mercato reale. E il consumatore è sempre più difficile da focalizzare, grazie alla varietà delle sue abitudini e dell’offerta, ma i suoi gusti devono essere intercettati. Un produttore di pentole una sera ci disse: troppi studiano nuovi prodotti, realizzazioni, sogni e intuizioni che nessuno vuole comprare, mentre il marketing nasce dai bisogni. Che cosa vuole il consumatore? Quella pentola? Allora devi farla, al meglio, distinguendoti. Certo, il nostro mondo enoico è più variegato. Che cosa vuole il consumatore di vino? Solo gli autoctoni come dicono alcuni guru? I vini biodinamici? Quelli nelle anfore? Quelli rosa? Tutte queste tipologie, naturalmente. Ma vuole anche tanto Prosecco e tanto Merlot. Interrogando il mercato, non gli aruspici, si va dove si vuole. Poi magari lanciamo un commento per dire “mi piace”.

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© Riproduzione riservata - 12/04/2011

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