Scienze Scienze Riccardo Oldani

Impronte molecolari per prevenire le contraffazioni del vino

Impronte molecolari per prevenire le contraffazioni del vino

Un team dell’Università australiana di Adelaide ha messo a punto un metodo semplice e affidabile per autenticare il vino. Qualche mese fa un gruppo dell’Università di Trieste ha proposto un sistema per individuare non solo varietà e provenienza, ma perfino il produttore. Si avvicina il momento per una carta d’identità in grado di prevenire ogni contraffazione?

Si stima che il ricco mercato dei vini contraffatti produca danni ai produttori valutabili in miliardi di dollari ogni anno. I dati più recenti di Euipo, l’Ufficio dell’Unione Europea sulla proprietà intellettuale (consultabili qui), valutano 2,3 miliardi di vendite perdute tra 2013 e 2017 soltanto nell’area comunitaria, di cui 300 milioni per l’Italia. Si tratta dell’equivalente del 5,2% dell’intero mercato. «In Australia l’impatto è valutato in diverse centinaia di milioni di dollari», osserva Ruchira Ranaweera, ricercatrice del Wait Research Institute della Scuola di agricoltura, cibo e vino dell’Università di Adelaide.

L’identità è nelle molecole

La ricercatrice cita questi dati per sottolineare che «l’autenticazione del vino potrebbe aiutare a eliminare ogni incertezza sull’etichettatura per quanto riguarda l’origine, le varietà impiegate e la vendemmia. E questo ora è possibile grazie a una tecnica relativamente semplice che abbiamo messo a punto nei nostri laboratori». Ranaweera fa riferimento all’utilizzo della spettroscopia a fluorescenza per un nuovo metodo di “fingerprinting molecolare” dei vini. La tecnica ha dato prova del 100% di accuratezza nel distinguere Cabernet Sauvignon dell’annata 2015 provenienti da tre aree produttive, quella di Bordeaux, in Francia, e due in Australia.


Ruchira Ranaweera, ricercatrice dell’Università di Adelaide, e, alle sue spalle, David Jeffrey, project leader della ricerca che ha portato il team australiano a sviluppare un metodo semplice e affidabile di identificazione dei vini in base a varietà e territorio

Onde elettromagnetiche e algoritmi

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica “Food Chemistry” (qui l’articolo), spiega come il metodo si basi sull’indagine di composti caratteristici, che hanno proprietà di emissione della luce se eccitati da radiazioni elettromagnetiche modulate secondo frequenze specifiche. I dati raccolti vengono poi analizzati con l’ausilio di algoritmi creati ad hoc, definiti “chemiometrici”, che consentono di definire una correlazione tra uno specifico territorio vinicolo e mix caratteristici di composti contenuti nei vini.

Uno studio italiano

Qualche mese fa, un gruppo di ricerca dell’Università di Trieste, composto da ricercatori del Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutiche che hanno collaborato con colleghi del Laboratorio di Spettroscopia del Dipartimento di Ingegneria e di Architettura, aveva invece pubblicato, sulla rivista scientifica “Talanta”, uno studio riguardante l’applicazione della spettroscopia Raman per studiare 180 campioni di tre vini bianchi (Friulano, Ribolla e Sauvignon) prodotti da tre diverse Cantine del Friuli. Il metodo si è dimostrato affidabile in percentuali elevate, tra l’87% e il 93%, e si spinge anche oltre rispetto a quello australiano perché, dicono i ricercatori, consente «di distinguere anche uno specifico vino o uno specifico produttore, anche quando i prodotti derivano dalla stessa varietà o provengono dallo stesso territorio».


Gli spettri Raman, individuati da tre colori diversi, dei vini di tre produttori del Friuli, indicati dalle lettere A, B e C, ottenuti dai ricercatori dell’Università di Trieste dopo l’analisi di 180 esemplari di tre diversi vini. Per ogni produttore viene individuato un grafico caratteristico, che ricorre in tutti i vini di sua produzione (Friulano, Ribolla e Sauvignon).

Un codice a barre per identificare il vino

In particolare, le sostanze caratterizzanti, su cui si concentra l’indagine, sono purine (come adenina e adenosina), acidi carbossilici e glutatione. «Il risultato che abbiamo ottenuto», spiegano gli autori dello studio italiano, «supporta l’evidenza che, in larga parte, i fattori che determinano la qualità del vino sono legati a caratteristiche ambientali dell’area di produzione e a specifici processi di produzione strettamente connessi al produttore. Ma soprattutto, l’impronta complessiva lasciata dalla matrice vino, così come appare dalla tecnica spettroscopica usata (la spettroscopia Raman SERS), può essere considerata come un codice a barre per l’identificazione del vino».

Verso un metodo di autenticazione infallibile?

Quali le ricadute? La realizzazione di un metodo di analisi del prodotto in grado di dimostrarne l’autenticità senza ombra di dubbio. Per questo il gruppo triestino auspica ulteriori studi su un set di dati più ampio in termini di campioni esaminati, varietà, annate e condizioni di conservazione. Inutile dire che uno strumento di questo tipo potrebbe rivelarsi molto utile per tutelare produzioni importanti. Soltanto pochi giorni fa, nel Palermitano, è stato scoperto un laboratorio dove vini e mosti venivano addizionati di zuccheri e poi rivenduti a trasformatori ignari che procedevano all’imbottigliamento o alla produzione in aceto. Lo scorso ottobre la Guardia di Finanza aveva scoperto una truffa internazionale mirata alla contraffazione del Sassicaia, che aveva messo in circolazione migliaia di false bottiglie delle annate dal 2010 al 2015 per un guadagno illecito pari a 400.000 euro al mese.

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© Riproduzione riservata - 13/12/2020

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