Scienze Scienze Riccardo Oldani

Il vino nell’Età del Bronzo? Le ultime scoperte dal Nord-Est Italia

Il vino nell’Età del Bronzo? Le ultime scoperte dal Nord-Est Italia

Resti ceramici trovati nel Ferrarese e vicino ad Aquileia (Udine) attestano il consumo di vino nell’Età del Bronzo (almeno 3.600 anni fa) nel Nord-Est Italia. È il più antico ritrovamento del genere, che apre interrogativi su come le tecniche di vinificazione si siano sviluppate nel territorio, per effetto di un’importazione culturale oppure per un autonomo sviluppo locale.

È tempo di grandi scoperte archeo-enologiche in Italia. Il “termopolio” portato alla luce a Pompei, la rivendita di cibi caldi in cui sono state trovate anfore di vino resinato, ne è l’esempio più celebrato, portato all’attenzione di tutti dall’ampia copertura mediatica. Se ne è parlato anche in tv, a Che tempo che fa. Una rara occasione in cui l’archeologia ha trovato spazio nei palinsesti nazionali.

Lo studio italiano sul Journal of Archaeological Science

È passato invece più sotto traccia, per quanto non meno importante per le implicazioni che ne derivano, uno studio realizzato da un pool di studiosi italiani affiliati a vari centri di ricerca europei e pubblicato dal Journal of Archaeological Science. Dimostra che nel Ferrarese e nella zona di Aquileia (Udine) si consumava vino già nell’Età del Bronzo, cioè circa 3.600 anni fa. Tra gli autori, ricercatori delle università di Barcellona, Udine, Padova, Modena e Reggio e del Centro di Agricoltura Ambientale “Giorgio Nicoli” di San Giovanni in Persiceto (Bologna).

Il sito di scavo di Canale Anfora vicino ad Aquileia (Udine)

I residui di acido tartarico rivenuti sono la prova più antica

I residui organici rinvenuti in contenitori ceramici, analizzati con tecniche di gascromatografia accoppiata alla spettrografia di massa, hanno rilevato la presenza di acido tartarico, un derivato della lavorazione e fermentazione dell’uva. Gli studiosi non possono affermare al cento per cento che quell’antica terraglia contenesse effettivamente vino. Avrebbe potuto trattarsi anche di mosto e aceto. Ma il rinvenimento dimostra il consolidamento di pratiche enologiche ante litteram nei territori interessati, fatto che non era ancora stato dimostrato in tempi così antichi.

Vino nell’Età del Bronzo, i siti al centro degli scavi

I siti in questione, scrivono gli autori, sono quello di Pilastri di Bondeno, in provincia di Ferrara, e di Canale Anfora, vicino ad Aquileia. “Pilastri fa parte della cultura delle Terramare (testimoniata da insediamenti palafitticoli, ndr) della pianura Padana, dove le analisi archeobotaniche hanno suggerito che la vite selvatica era conosciuta e utilizzata durante la Media Età del Bronzo. A Canale Anfora, invece, macro-resti di vite sono stati rinvenuti in livelli precedenti della stratigrafia locale”.

Aceto come conservante naturale?

Gli studi hanno riguardato 31 reperti ceramici, di cui 20 hanno rivelato tracce di acido tartarico. Si tratta, proseguono gli studiosi, “della più antica testimonianza del consumo di vino in quest’area dell’Italia, e anche una delle più antiche in tutta la regione Mediterranea”. La datazione si attesta almeno intorno al XV e XIV secolo a.C. In tempi altrettanto antichi, il consumo di vino era diffuso in Sardegna, quindi in un periodo precedente a quello dell’influenza dei Fenici sul Mare Nostrum. Ma un’altra intrigante possibilità delineata dalle evidenze scientifiche è l’impiego dell’aceto come conservante naturale.


La mappa illustra la collocazione dei due siti al centro degli scavi

Punto di partenza per indagini future

Il team di studiosi, il cui primo autore è Alessandra Pecci del Dipartimento di Storia e Archeologia dell’Università di Barcellona, sottolinea anche come la loro scoperta apra la strada a ulteriori studi sulle origini della produzione vinicola nell’Italia del Nord. Si cerca di capire se questa tradizione sia approdata qui per effetto di influenze straniere, per esempio dalla civiltà micenea o dall’Europa centro-orientale. Oppure se si sia sviluppata in modo indipendente sfruttando competenze derivate dalla fermentazione di altri frutti. Le evidenze archeobotaniche suggeriscono comunque che al momento dei ritrovamenti di Pilastri di Bondeno e di Canale Anfora l’evoluzione delle tecniche di vinificazione in queste aree si trovasse in una fase intermedia di sviluppo, stante la compresenza di varietà selvatiche, intermedie e domesticate di vite.



Schizzi di 3 dei 31 reperti in ceramica analizzati dai ricercatori

Vino nell’Età del Bronzo, c’è ancora molto da scoprire

Ma i ritrovamenti nel Nord-Est italiano possono essere precursori anche di ricerche capaci di trascendere l’aspetto meramente tecnologico e commerciale legato alla produzione del vino per sconfinare in altri ambiti di ricerca. Possono per esempio rivelare aspetti finora sconosciuti sulla socialità, le feste di comunità, i rituali e la capacità di quelle comunità umane di comunicare o di rafforzare il consenso politico. “Connessi a questi aspetti”, concludono gli studiosi, “saranno cruciali ulteriori studi per verificare le modalità di consumo del vino, e in generale delle bevande fermentate, nei siti archeologici, aprendo una nuova visuale sulle differenze locali nelle abitudini di preparazione del cibo e delle bevande”.

Insomma, le tecniche di indagine archeologica si arricchiscono continuamente di nuovi contributi provenienti da discipline analitiche, e aprono la strada a capire meglio come i nostri antenati si nutrissero, in che modo producessero e consumassero il cibo, e come tutte queste attività si inquadrassero in un’organizzazione sociale di cui ancora abbiamo molto da scoprire.

Foto di apertura di Original Armenia

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© Riproduzione riservata - 20/01/2021

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