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Il vino naturale visto da destra e visto da sinistra

Il vino naturale visto da destra e visto da sinistra

Il vino naturale: bisogna entusiasmarsi o preoccuparsi?

Esattamente 75 anni fa, nel 1945, Giovanni Mosca e Giovannino Guareschi fondarono a Milano un settimanale satirico intitolato Candido. L’iniziativa merita d’essere ricordata perché quel giornale, pur essendo ferocemente anticomunista, inventò una rubrica, “Visto da destra – Visto da sinistra”, che faceva ridere, magari di nascosto, anche i comunisti, sbeffeggiando le esagerazioni retoriche con cui lo stesso avvenimento, raccontato da opposte fazioni, assumeva esilaranti significati contrapposti.

Il confronto tra due punti di vista opposti

Paradossalmente, però, fu proprio l’umorismo a senso unico che aveva determinato il successo di quella rubrica a impedire di comprenderne la reale valenza, che era assai più profonda. Se non si prende posizione a priori e non si enfatizzano le opposte versioni per strappare la risata, mettere a confronto alla pari i due punti di vista più contrastanti è il modo migliore per analizzare un problema controverso, anzi è l’unico che permetta di cogliere l’ampiezza della sua portata.
Allora perché non adottare questo metodo per sviscerare una questione contraddittoria com’è quella del “vino naturale”?

Essere contro il vino naturale è di destra o di sinistra?

Il tema è stato affrontato nel numero 2/2020 di Civiltà del bere sotto un profilo chiaramente definito dal titolo: “Il vino non esiste in natura / è un prodotto della cultura”. Difficile stabilire se questo punto di vista è di destra piuttosto che di sinistra, ma il meccanismo che può mettere in moto è lo stesso; si tratta di un’opinione di parte, radicalmente negativa, a cui bisogna contrapporre una concezione positiva altrettanto radicale e non meno tendenziosa.

Angelo Gaja


Il parere di Angelo Gaja

A illustrare quest’ultima in varie circostanze ufficiali è stato recentemente un illustre paladino, Angelo Gaja. Colpito dai crescenti consensi nell’opinione pubblica che le aziende produttrici di vino naturale, tutte di dimensione artigianale, hanno saputo conquistarsi, è convinto che ci siano riuscite perché hanno intercettato l’esigenza, sentita dai consumatori, di ridurre al minimo l’intervento della chimica nella produzione degli alimenti. Ma a combattere quella battaglia erano già in campo, e da tempo, il vino biodinamico e il vino biologico, nei quali l’eliminazione degli additivi chimici di sintesi è certificata da un ente terzo indipendente.

Naturale, l’aggettivo più bello

Come ha fatto a emergere ugualmente il vino naturale, che di questa garanzia non dispone? C’è riuscito, secondo Gaja, grazie all’irresistibile fascino del suo nome. «Naturale, non esiste un aggettivo più bello, così come non c’è uno standard, se non la minor manipolazione possibile». Un vino che nell’immaginario collettivo nasce lasciando che la natura faccia il suo corso sia nel vigneto che in cantina non ha bisogno della certificazione di istituzioni terze: a certificarlo è la sua stessa esistenza.

Ora tutti sono costretti ad alzare il livello di qualità

«Quella del vino naturale è una porzione infinitesimale della produzione», fa notare Gaja, «ma costringe gli altri a dire come producono il loro vino, alzando l’asticella della qualità in una rincorsa positiva alla naturalità». In questa rincorsa, alla quale non partecipano soltanto i veterani Bio ma anche nuovi soggetti come il vino sostenibile e quello della Triple A (A come Agricoltori, Artigiani, Artisti), si è impegnato perfino un imprenditore di successo come Oscar Farinetti, che ha mobilitato alcune aziende vitivinicole, insieme alle due che controlla direttamente, Fontanafredda e Borgogno, sotto l’insegna del “vino libero” (libero da concimi di sintesi, da erbicidi, da almeno il 40% di solfiti).

Paradossalmente, la qualità passa in secondo piano

Secondo Gaja, però, il fenomeno che più merita d’essere indagato è il rapporto che il consumatore manifesta nei confronti del vino naturale. Se fosse un normale acquirente lo sceglierebbe perché apprezza la qualità ottenuta dal produttore limitando al massimo l’uso di sostanze chimiche, ma non lo è. Suggestionato dalla magia dell’aggettivo, lo sceglie perché condivide fino in fondo i principi a cui si ispira il produttore, e perciò a prescindere dalla qualità.

Più che una tipologia, è ormai un’ideologia

«Ho partecipato a varie degustazioni di questa tipologia», racconta Gaja, «e ho constatato di persona che quando un vino naturale presenta un difetto anche grave, esso non viene denunciato come tale neanche dall’assaggiatore più esperto. Si accetta come doveroso passaggio sulla strada della naturalità». Visto da questo versante, insomma, il vino naturale non è più un vino, è un’ideologia. Assurdo stabilire se di destra o di sinistra, meglio capire se è il caso di entusiasmarsi o di preoccuparsi.

In apertura: “La clef des champs” di René Magritte (1936), dettaglio

La “nuova” Terza Pagina è dedicata alla cultura del vino e ogni settimana ospita opinioni su temi di ampio respiro.

Questa settimana riprendiamo il dibattito, mai sopito, sul movimento del vino naturale. Il nostro collaboratore Cesare Pillon ne aveva scritto sul numero 2/2020 di Civiltà del bere (leggi qui), e qui vi presentiamo in anteprima il prosieguo delle sue riflessioni, che saranno pubblicate sul numero 3/2020 (luglio-agosto-settembre), il cui tema monografico sarà proprio “Naturale”.

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© Riproduzione riservata - 17/07/2020

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