Il viaggio a Rust

Il viaggio a Rust

Perdonatemi se per una volta parlo di un’esperienza personale. Le conclusioni, tuttavia, saranno universali. Il mio 2013 è cominciato con una settimana entusiasmante, a Rust, in Austria, sulle orme dell’Institute of Masters of Wine, che vi ha organizzato il seminario di studio per aspiranti MW ammessi al programma.

ASPIRANTI MASTER OF WINE RIUNITI IN AUSTRIA – Come sapete, non esiste ancora un MW made in Italy. I miei colleghi di studio, una cinquantina, provengono da quattro continenti e molti Paesi, dalla Scandinavia al Portogallo, dalla Grecia all’Australia, dal Brasile al Canada. Di professione sono imprenditori, enologi, wine educators, buyer e commercianti a Bordeaux o a Londra, giornalisti (due)… Un campione ben assortito del mondo del vino o, meglio, del vino nel mondo.

PER COMPETERE NEL MONDO BISOGNA APRIRE IL NOSTRO MERCATO AI VINI STRANIERI – Certe idee, che mi accompagnano da alcuni mesi, a Rust sono state più che confermate. Sono diventate imperativi categorici. Da cronista e curioso, infatti, non solo ho acquisito informazioni su come si stanno muovendo gli altri nei loro mercati di riferimento, ma ho potuto anche approfondire le mie valutazioni sull’immagine dell’Italia vinicola nel mondo. Per migliorare il sistema nazionale e, forse, anche per risollevare il mercato interno è fondamentale, paradossalmente, aprire le nostre porte ai vini degli altri. Conoscerli, dunque, per comprendere come lavorano e perché hanno (o non hanno) successo. In Italia è impossibile trovare un numero decente di etichette estere, sono poche e costose (salvo rari esperimenti nella Grande distribuzione, come nel caso dell’australiana Yellow Tail). Se sei ristoratore, ad esempio, devi fare attenzione a proporre un Grüner Veltliner per aperitivo, magari con il tappo a corona: troverai qualcuno pronto a crocifiggerti.

ATTENZIONE A CIO’ CHE AVVIENE ALL’ESTERO – Eppure sarebbe utile conoscere (e assaggiare) ciò che accade nelle vigne degli altri. Sottoscriviamo ciò che ha recentemente scritto Giovanni De Mauro, direttore del settimanale Internazionale (11/17 gennaio 2013): “L’attenzione agli avvenimenti internazionali è il riflesso della storia e della cultura di un Paese. E quindi del suo posto nel mondo”. Vale anche – e forse di più – se parliamo della vite e del vino.

SIAMO IL PAESE DELLA VITE – Venendo al nostro ruolo nello scacchiere globale, dove siamo? Godiamo di seria considerazione come “Paese della vite”, dedito alla produzione di vini semplici esitati per lo più a basso prezzo, e di una notevole stima legata a pochi vini-icona e alla tradizione di Barolo e Brunello.

LA PAROLA D’ORDINE È INNOVARE – È apprezzata anche la ricchezza del nostro patrimonio ampelografico. Ci manca però quello che potremmo definire l’appeal. Siamo più autorevoli che sexy, insomma. Come un bravo professore di Storia. Ci basta? Questa immagine ci sarà d’aiuto nel migliorare le nostre posizioni sulle piazze degli Usa, del Brasile, di Hong Kong o della Scandinavia? No, perché nell’aria c’è una forte richiesta di valori, di messaggi polisensoriali, di energia e dinamismo. E in particolare di innovazione sia nel contenuto sia nel contenitore e nella comunicazione.

Tra meno di un mese, parteciperò al concorso Wines of Argentina a Mendoza insieme ad altri 17 colleghi, giornalisti e opinion leaders, di tutto il mondo. Un altro consesso internazionale. L’organizzazione prevede un gran finale: un seminario riservato a 300 operatori di settore durante il quale ciascuno di noi presenterà un vino che per qualche motivo ritiene “innovativo”.

IL RUOLO DEI PERENNI INSEGUITORI – Pensate che bel quadro d’insieme: 18 storie da 18 Paesi per guardare al futuro. Riflettendo sull’etichetta che avrei scelto io, giorni fa, ho realizzato, con un certo sconforto, che in Italia, di innovazioni significative non se ne vedono da decenni. Non parliamo di miglioramenti, di elevazione della qualità media del prodotto: in vigna e in cantina, grazie alla scienza e alla tecnologia abbiamo fatto passi da gigante, ma questa non è necessariamente innovazione. È stata piuttosto un’esigenza spesso determinata più dalla concorrenza globale, che da un autentico spirito pionieristico e rivoluzionario. Un atteggiamento da inseguitori, più che da leader.

L’ITALIA DEI PREGIUDIZI – La nostra cifra è la cautela: pensiamo all’uso dei tappi alternativi, di contenitori diversi dalla bottiglia di vetro, di packaging accattivanti e moderni, del marketing. Per non parlare del vino in sé, irreggimentato dai Disciplinari di produzione, non sempre a ragione, e vittima dall’ideologia, per cui diviene difficile parlare – senza scivolare nella rissa – di vini naturali (anzi, è vietato), biologici, dinamici, macerati. Questi ultimi all’estero li chiamano orange, con disarmante pragmatismo, dato che sono effettivamente arancioni.

Il vino, grandiosa espressione culturale, dovrebbe guardare al mondo senza pregiudizi.

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© Riproduzione riservata - 08/02/2013

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