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Il vino delle donne. Una vera rivoluzione?

Il vino delle donne. Una vera rivoluzione?

In quest’ultimo trentennio il vino italiano ha conosciuto due rivoluzioni parallele: man mano che cresceva la sua qualità, è aumentata la presenza e l’importanza delle donne nel settore. Possiamo chiamarla emancipazione? Non sempre.

Negli anni Ottanta del secolo scorso, racconta Silvia Imparato, quando lei preparava la nascita del Montevetrano, uno dei vini più straordinari del Meridione, i contadini non volevano lasciarla entrare in cantina, convinti che le donne in periodo mestruale potessero compromettere la fermentazione del vino.

Albiera, Allegra e Alessia Antinori (foto di S. Matthews)

Oggi sul ponte di comando di una delle aziende protagoniste della rivoluzione vinicola, quella dei Marchesi Antinori, ci sono tre sorelle, Albiera, Allegra e Alessia, ma nel suo bel libro Il profumo del Chianti il loro papà, Piero, confessa di aver temuto, sempre all’inizio degli anni Ottanta, che avendo tre figlie non ci sarebbe più stato un membro della famiglia a dirigere la Casa vinicola che ne porta il nome. “Dopo 600 anni”, paventava, “fine della dinastia”.

Nel vino sì, nella ristorazione no

Da allora le donne ne hanno fatta di strada. Eppure, anche se hanno creato fin dal 1988 un’associazione che sa far parlare di sé, le Donne del vino non sono ancora riuscite a far percepire quale evento rivoluzionario sia la loro stessa esistenza. Colpisce il fatto, per esempio, che lo stesso fenomeno non si sia verificato nel mondo parallelo della ristorazione. Le donne chef continuano a essere pochissime, e scarsi sono i riconoscimenti da parte delle guide. Come mai le donne della ristorazione non sono riuscite a emergere come quelle del vino?

Il ruolo cruciale del rapporto con la clientela

La prima osservazione che si può fare è questa: l’attività della donna chef comincia e finisce in cucina, potrebbe avere dei risvolti pubblici, ma dipende da lei. E lei questa opzione, in genere, non la sfrutta. L’attività della vignaiola, della donna del vino, comincia invece dalla vigna e dalla cantina. Poi però continua nel rapporto con la clientela, è insomma un’attività pubblica, al di là d’ogni propensione soggettiva. Ed è questo che la porta sul proscenio, sotto i riflettori.

Le donne imprenditrici

Il nocciolo duro del sodalizio delle Donne del vino è costituito da produttrici vinicole che non sono più mogli di un produttore, ma autentiche imprenditrici. Donne che conducono realmente la loro azienda. Che ne hanno costruito effettivamente l’immagine, partendo dal prodotto, che hanno preteso fosse d’un certo tipo. Per finire con la sua presentazione, che hanno curato con sensibilità, intuendo talvolta esigenze di mercato per le quali ci volevano fiuto e coraggio. E perciò il loro compagno, marito, fratello, padre, se non è il tecnico dell’azienda, ha ora l’immagine del principe consorte o dello sponsor.

Quando non ci sono, le vignaiole si inventano

Ma non sempre è così. Ci sono altre bravissime, affascinanti signore che non hanno la direzione dell’azienda, ma sono state spinte dal loro compagno a rappresentarla e recitano, se così si può dire, la parte della vignaiola, svolgendo in realtà un’opera di promozione e di pubbliche relazioni. Perché una donna, è evidente, conquista più facilmente il cliente, che è quasi sempre un uomo.

La società dello spettacolo condiziona tutto

Non vuole esserci ombra di pregiudizio in questa constatazione. Il fatto è questo: le donne del vino compaiono sempre più spesso sul palcoscenico perché hanno il consenso, se non addirittura la spinta, degli uomini. Tant’è vero che, quando non esistono, questi se le inventano. Mentre nella ristorazione in piena luce ci sono sempre gli uomini, anche quando non sono loro i protagonisti. Questo avviene perché hanno il consenso, se non la spinta, di quella ch’è ormai, nel bene e nel male, una società dello spettacolo. E dalla necessità di dare spettacolo sono fortemente condizionate proprio le attività che forniscono beni e servizi voluttuari, come l’azienda vitivinicola e il ristorante.

Uno scambio di ruoli tra vignaiolo e cuoca

Nella ripartizione dei ruoli adottata sia dalla civiltà patriarcale contadina sia dalla società industriale urbana è sempre toccato alla donna il compito di preparar da mangiare. E l’immagine del cibo e della nutrizione è legata alla figura della mamma, e in sottordine della zia, nonna, colf: è un’immagine femminile. Perciò, un pasto consumato al ristorante, cioè un pasto diverso, appare più eccezionale se a cucinarlo è un personaggio diverso dal solito, cioè un cuoco maschio. Lo spettacolo può avere successo solo se offre qualcosa di sorprendente. E cosa c’è di più sorprendente d’una donna che produce vino, ribaltando i pregiudizi che ancora 30 anni fa le impedivano perfino di entrare in cantina?

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 6/2018. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 01/02/2019

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