Il fattore umano

Il fattore umano

Quando Pino Khail ideò VinoVip Cortina correva l’anno 1997. Altri tempi! Sembrano passati secoli… C’era ancora la lira e la bolla speculativa si gonfiava spensierata. Tutti compravano azioni Tiscali sentendosi più simili al finanziere Soros che all’ingegner Soru. Sui tavoli dei ristoranti facevano capolino vini miracolosi, s’imponevano i must suggeriti dalla critica universale, un’etichetta portava felicità e ricchezza al produttore e al consumatore. A VinoVip Cortina si consacravano i successi, benedetti dalla meravigliosa conca ampezzana.
Anno 2011. La bolla speculativa è scoppiata ormai da tre anni e uno tsunami si è abbattuto sul sistema industriale e commerciale globalizzato. Nessuno pensa più a prenotare azioni Tiscali e piuttosto si tenta di vendere qualche gioiello di  famiglia su e-bay o tramite facebook. Sono spariti i fenomeni, al ristorante resistono i grandi classici, dall’Amarone alla Falanghina, firmati dalle aziende che hanno saputo adottare una politica commerciale lungimirante. Il consumatore soppesa scrupolosamente le proprie scelte, vuole il massimo al minimo. A VinoVip non si discute più del sesso degli angeli, o dei vitigni, ma si pensa a come salvaguardare i successi della nostra enologia, facendo i conti con i new media.
Tutto è cambiato da allora. Resta però l’elemento fondamentale, ciò che rende il mondo del vino radicalmente diverso da tutti i settori industriali: il fattore umano.
Il settore è ancora composto in buona parte da padri e figli che amano il vino non solo perché porta loro reddito e benessere. Persone appassionate, consapevoli di proporre un valore aggiunto che assomiglia molto alla felicità. Non poco.
Non dimentichiamo che ci troviamo nell’ambito del piacere, del gusto, del desiderio. Il vino-alimento è ormai un ricordo, lontanissimo dalle nuove generazioni. Per cui, parafrasando Shakespeare, potremmo sostenere che il vino è fatto della stessa sostanza dei sogni. Sarà dunque sempre più ardua la sfida del marketing, una disciplina che in certi momenti sembra purtroppo arrestarsi a un metro dall’atto finale, quello del consumo. Persino il mondo della moda oggi pare rendersi conto di quanto risulti supponente il tentativo di determinare i sogni della gente. Non è più facile captare i segnali che emergono dalla società nell’affanno semiotico del prêt-à-porter.
Il vino è persino più materiale e concreto, pare assurdo, del tessuto, di un disegno e di uno stile da indossare. In certe situazioni una bottiglia parla di noi stessi più di un abito. In questo senso si aprono orizzonti infiniti, nell’epoca del “mi piace”, della corsa a mostrare (forse più a noi stessi che agli altri) la nostra personalità attraverso il gusto.
È importante, in questo quadro chiaramente individualista, non lasciarsi ingabbiare dai luoghi comuni, massificanti per definizione. Prendiamo ad esempio l’evoluzione retorica del concetto di autoctono che, in una deriva gastronomica, oggi si chiama “chilometro zero”. Immaginiamoci le trattorie di Milano o Roma nel 2020, dove si mangeranno ovunque le medesime pietanze, busecca (trippa) da una parte, amatriciana dall’altra. Vino? Bonarda dell’Oltrepò a Milano, trasportata a cavallo con zero emissioni, e Frascati sui Colli fatali.
Marco Polo calpestò migliaia di chilometri per scambiare merci e noi all’alba del Terzo Millennio aneliamo un’improbabile autarchia? Se parliamo d’ortaggi, è forse saggio. Se l’obiettivo è calmierare la furia consumistica globalizzata, è comprensibile. Se parliamo di gusto, di sogni, di piacere… siamo fuori strada. Non solo, oggi la politica cavalca facilmente i ritornelli, persino le mode dettate dai gastronomi. Non si spiegherebbe altrimenti come i presidi Slow Food, concepiti in ambienti “Arci”, abbiano goduto di attenzioni – e finanziamenti – di segno contrario. Così come i già citati autoctoni (“tipici, unici, territoriali”…) sono stati sposati dagli assessori all’Agricoltura di tutte le Regioni, bianche, rosse, azzurre. Parole, solo parole, in fondo. Ma possono trasformarsi in macigni sul cammino dello sviluppo. La politica, forse, potrebbe pensare più a risolvere i problemi pratici degli imprenditori soffocati dalla burocrazia, piuttosto che abbracciare le ideologie passeggere di chi vorrebbe farci bere solo Passerina (con tutto il rispetto) o mangiare ciò che offre la nostra città.
Si viaggia alla ricerca dei propri sogni. E le merci sono anche un simulacro del nostro desiderio di conoscenza.
Parlando sempre di viaggi, centinaia di professionisti e appassionati stanno arrivando a Cortina per incontrare i grandi nomi del vino, in un’atmosfera unica dove il fattore umano conta per l’80 per cento. Purtroppo, questi grandi produttori, e molti dei visitatori, hanno percorso mille miglia e anche di più per vivere insieme questa esperienza. Ma crediamo che se un’idea muove tante persone, sia una buona idea. Forse non lo è quella che ci chiude nell’orto di casa.

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© Riproduzione riservata - 31/08/2011

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