Scienze Scienze Riccardo Oldani

Gusto di luce: nuove strategie per prevenirlo

Gusto di luce: nuove strategie per prevenirlo

Il cosiddetto gusto di luce appartiene alla categoria dei difetti foto indotti. A determinarlo è infatti l’effetto della luce sui vini bianchi che porta a sviluppare sentori sgraditi. Una ricerca dell’Università degli Studi di Milano ne ha studiato i meccanismi e propone nuovi approcci enologici per prevenirli.

Colpisce i vini bianchi per effetto di una serie di reazioni indotte dalla luce e ne altera gli aromi con un fastidioso odore di cavolo, simile al difetto di ridotto. Il “difetto di luce” è un nemico ben noto ai produttori ed enologi, che per contrastarlo adottano una serie di soluzioni, come l’impiego di bentonite o di polivinilpirrolidone durante la vinificazione e l’adozione di bottiglie in vetro colorato per proteggere il prodotto dopo il confezionamento. Un’altra difesa, che abbiamo visto affermarsi relativamente di recente, è l’uso di pellicole in film trasparente, di colore ambrato o incolori, per schermare dalla luce le bottiglie in vetro non colorato, sempre più richieste dal mercato per mettere in bella evidenza il vino all’interno della bottiglia.

Evoluzione delle tecniche

Ma le tecniche evolvono e le soluzioni consolidate non necessariamente sono le migliori. L’uso del polivinilpirrolidone, per esempio, non si è rivelato efficace. E le pellicole pongono il problema, a Cantine con un approccio sostenibile, di contribuire ad aumentare la già infinita quantità di rifiuti plastici che produciamo ogni giorno. Ora, un nuovo studio condotto da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente (DeFENS) dell’Università degli Studi di Milano, propone nuovi approcci che stanno per tradursi in concrete pratiche di cantina.

Un gruppo folto e multidisciplinare

I risultati di questo lavoro sono in pubblicazione nel numero di giugno 2021 della rivista scientifica Trends in Food Science & Technology, in un articolo firmato da sette ricercatori. Abbiamo raggiunto il primo autore autore e corresponding author del paper, la ricercatrice Daniela Fracassetti, per farci raccontare i punti salienti del lavoro.
«Il nostro gruppo, gestito con il professor Antonio Tirelli, che indaga in particolare sugli aspetti enologici e chimici, lavora sul tema del difetto di luce dal 2014. È una ricerca che nasce in seguito alle segnalazioni di alcune cantine che il problema può originarsi nel vino dopo l’imbottigliamento. Ora, quest’ultimo lavoro ha beneficiato anche del contributo di esperti in microbiologia enologica, i professori Ileana Vigentini e Roberto Foschino».

Meccanismo complesso

Il concorrere di competenze diverse ha consentito di comprendere più nel dettaglio di quanto fatto finora il meccanismo che porta al difetto nelle bottiglie.
«Il primo responsabile», dice Fracassetti, «è la riboflavina, una vitamina fotosensibile, che si degrada quando è esposta alla luce. A seguito della sua foto-degradazione entra in gioco il secondo attore coinvolto in questi meccanismi, la metionina, una molecola capace di donare elettroni e di portare la riboflavina a uno stato ridotto. Di conseguenza la metionina si ossida, innescando una serie di reazioni che portano alla formazione di metantiolo e, successivamente, di dimetildisolfuro.

Odori sgradevoli

«Questi due ultimi composti solforati sono di fatto i responsabili delle note di aglio, cipolla e cavolo cotto. Sentori tipici del difetto di luce e della perdita di freschezza e di aromi floreali dei vini bianchi colpiti», continua la ricercatrice. «Per meglio comprendere i meccanismi chimici complessi alla base di questa alterazione sono entrate in gioco anche le competenze tecnologiche e chimiche dei professori Sara Limbo, Luisa Pellegrino ed Enzio Ragg».

Tre strategie efficaci

La riboflavina si produce nel vino bianco in seguito alla fermentazione alcolica, per cui una strada per prevenire il difetto di luce è controllare questa fase della vinificazione in modo da prevenirne la formazione. Questo può avvenire, secondo gli studiosi dell’ateneo milanese, attraverso un’attenta scelta dei lieviti.

Un’altra strategia per evitare il gusto di luce è rimuovere la riboflavina dal vino. In questo caso si rivela particolarmente efficace il carbone attivo, coadiuvante già ampiamente usato in enologia; ha però la controindicazione, se usato in elevate quantità, di impoverire i vini dal punto di vista della complessità aromatica e delle caratteristiche sensoriali.

Terza strategia è impiegare antiossidanti che “proteggano” il vino all’interno della bottiglia. Così si evita che si inneschi la catena di reazioni a carico della riboflavina e che entrino in gioco i composti solforati responsabili del difetto. A tale riguardo il gruppo milanese ha individuato una nuova soluzione nell’utilizzo di tannini idrolizzabili.

Invecchiamento in legno

Sul tema dei tannini il gruppo milanese sta lavorando da tempo. Già nel 2019 aveva pubblicato uno studio che evidenziava i vantaggi dell’uso di preparati in polvere.
«Ora abbiamo in programma anche di estendere le nostre analisi all’invecchiamento in legno dei vini bianchi; una pratica un tempo assai poco comune ma che ora sta diventando sempre più frequente tra i produttori». Questo allo scopo di verificare in quale misura un passaggio in botte o in barrique possa influenzare il contenuto di riboflavina e potenzialmente limitare il difetto di luce.

Un progetto con gli spumantisti

Un’attenzione particolare meritano poi gli spumanti Metodo Classico, ottenuti da due fermentazioni che possono portare alla formazione di quantità più elevate riboflavina.
«Per questi vini», spiega Fracassetti, «stiamo conducendo un progetto, denominato Enofotoshield, finanziato dalla Regione Lombardia e da fondi europei nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale, coordinato dal Professor Antonio Tirelli con la collaborazione dei professori Ileana Vigentini e Roberto Foschino, in cui stiamo lavorando con quattro Cantine, partner del progetto, per applicazioni concrete nel processo produttivo (qui alcuni dettagli). In particolare, stiamo lavorando in collaborazione con quattro Cantine, partner del progetti, per applicazioni concrete nel processo produttivo. Con loro stiamo testando vari tannini enologici da utilizzare prima dell’imbottigliamento, per individuare quelli più adatti a contrastare il difetto e contribuire in modo positivo alla qualità del vino. Stiamo anche valutando diversi ceppi di lievito, anche per la fermentazione in bottiglia».

I produttori coinvolti sono Ferghettina e Mirabella, in Franciacorta, e Tenuta Mazzolino e Tenuta Travaglino in Oltrepò Pavese. Oltre alle Cantine, il Consorzio del progetto Enofotoshield include Assoenologi e il Consorzio per la Tutela del Franciacorta.

Foto: uno dei più fastidiosi difetti dei vini bianchi, il gusto di luce, è stato indagato da ricercatori dell’Università di Milano che hanno individuato nuove strategie per prevenirlo. © Z. Wrue per Unsplash

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© Riproduzione riservata - 08/06/2021

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