In Italia In Italia Luciano Ferraro

Greta non abita nel vigneto Italia

Greta non abita nel vigneto Italia

I dati parlano chiaro: negli ultimi otto anni, dal 2010 al 2018, la svolta bio in agricoltura ha visto un incremento in Italia di 800 mila ettari. Come se tutta la Puglia avesse abbandonato pesticidi e fitofarmaci. Risultato: +75%. Si tratta in totale del 15,5% della terra utilizzata in agricoltura, più del doppio della media europea, che si attesta al 7%.

Agli Stati generali del biologico che si sono tenuti a Bologna è stato reso noto che nello stesso periodo 27.000 aziende si sono trasformate da convenzionali a bio. E il vigneto? Siamo secondi al mondo: 106 mila ettari, pari al 15,8% del totale. Tolti circa 2.000 ettari per l’uva da tavola, si tratta di piante usate per il vino.

Nella sfida del bio, vince il Sud Italia

Significa che nell’anno di Greta e delle manifestazioni in tutto il mondo anche il vino italiano si converte alla sostenibilità? Guardando meglio i dati, ci si accorge che quella delle Cantine italiane verso la tutela dell’ambiente è una marcia rallentata. Nel 2011 il vigneto bio si estendeva per 52 mila ettari (tra effettivi e in conversione). In sei anni il raddoppio: 103 mila ettari nel 2016. Poi la frenata: 105 mila ettari nel 2017, solo mille in più l’anno scorso. La regione più bio è la Sicilia, il rapporto più alto tra bio e convenzionale si registra in Calabria e Basilicata. Il Sud è più avanti, il Centro si è dato da fare, mentre il Nord ancora non ha trovato un passo deciso, soprattutto sul fronte Est, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. È vero che nella regione delle Docg del Prosecco e della Valpolicella gli ettari bio sono diventati 6.100, con un incremento del +30%, ma rappresentano solo il 6,5% del totale. Peggio del Piemonte, attestato su quota 7,5%.

Ostacoli burocratici, ma non solo

Greta, quindi, non abita nel vigneto Italia. Tanto che il Corriere vinicolo, nell’articolo di ottobre che ha raccolto i nuovi dati, titola: “Il lato duro del bio”. È vero che ci si mette di mezzo, come spesso accade, la burocrazia. Il calo più vistoso, 8.000 ettari di vigneto bio svanito, si è registrato in Sicilia. È dovuto al mancato pagamento del sussidio regionale per i produttori più ambientalisti dei colleghi: senza il contributo non riescono ad affrontare le maggiori spese, quindi desistono.

L’alternativa: viticoltura integrata

Ma non si tratta solo di ostacoli amministrativi. Ci sono intere zone che scelgono altre vie, ritenute più praticabili, come quelle della viticoltura integrata. Il più grande produttore biologico di uva, Dino Taschetta, 2.000 ettari di vigneto nella cantina siciliana Colomba Bianca, è convinto che i produttori potrebbero fare di più: “Quella del bio”, ha detto al Corriere vinicolo, “è una scelta di campo; e mi rammarica vedere come un Paese come il nostro, che per fattori naturali ha potenzialità straordinarie da questo punto di vista, certe volte si autocastri”.

Ma i consumatori vogliono la sostenibilità

Eppure i consumatori hanno sete e fame di prodotti bio. Sembra quasi che il mondo del vino corra a una velocità diversa rispetto a quella del mercato per quanto riguarda la sostenibilità. Tutti gli imprenditori del settore ne parlano, solo una minoranza cambia modo di fare vino. La richiesta c’è, eccome. Un sondaggio di Coop sostiene che una persona su due sarebbe disposta a spendere di più per prodotti etici. Un esempio? “Sono aumentati del +21,5% gli acquisti di tè, caffè e cacao sostenibili e del +2,5% quelli di prodotti ittici con la certificazione di provenienza da pesca e acquacoltura rispettosi dell’ambiente. I millennial tendono ad essere più interessati dei loro genitori all’autenticità”, ha spiegato Liam Steevenson MW di Global Wine Solutions all’ex diplomatico Ruper Joy, autore su Decanter di una lunga inchiesta sul “vino sostenibile”.

Il cambiamento deve essere concreto

Ci sono quindi ragioni di mercato, assieme a quelle etiche, per spendere risorse ed energie nel rispetto dell’ambiente (e dei bevitori) tra i vigneti. Purché le Cantine non cerchino solo un ombrello verde per migliorare l’immagine, invece di imboccare davvero una strada nuova che limiti o cancelli gli interventi chimici e riduca l’utilizzo di risorse ambientali.

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 6/2019. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 20/12/2019

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