Fantastica battaglia tra Soldati e Monelli
Degustiamo sogni o vini? Resterà un dilemma senza risposta, perché le due cose sono intrecciate. In un racconto sul Nebbiolo di Valtellina pubblicato da la Repubblica il 25 settembre Marco Arturi ricorda un’antica tenzone letteraria tra Mario Soldati e Paolo Monelli che ci apre un vaso di Pandora, un mondo di riflessioni sullo scrivere di enogastronomia.
Innanzitutto, quanta nostalgia per un’epoca in cui gli intellettuali battibeccavano pubblicamente con garbo e rispetto reciproco, arricchendo il dibattito pubblico, mentre oggi assistiamo per lo più a furibonde litigate social o televisive finalizzate ad attirare like per loro, lasciando in noi solo un senso di disagio. Immaginiamo, ad esempio, questa discussione oggi tra Vittorio Sgarbi e Andrea Scanzi.
Ricapitolando. Anni Sessanta. Da una parte l’intellettuale nazional-popolare, regista e scrittore da bestseller Soldati, dall’altra lo scrittore eno-gastronomo ante litteram Monelli.
Il vino non si giudica dal sogno?
Nel 1959 Mario Soldati pubblica la novella Un sorso di Gattinara nella raccolta La messa dei villeggianti. Prima incursione dell’autore nel mondo del vino. Pochi mesi dopo, Paolo Monelli scrive sul mensile Successo un articolo nel quale accusa l’amico di giudicare il vino lasciandosi condizionare dalle suggestioni e dall’ambiente, con una chiusa tranchant: “Caro Soldati, anche il più modesto bevitore sa che il vino non si giudica al sogno”. Lo scrittore accetta le critiche, ma pretende pubbliche scuse, qualora il vino oggetto del racconto sia davvero notevole. Monelli sarà costretto ad ammetterne il valore e pubblicherà un’ammenda nel libro Optimus potor, il vero bevitore.
Anche Monelli cede al fascino della Valtellina
Per altro Paolo Monelli commetterà l’errore rinfacciato all’amico, descrivendo la Valtellina, i suoi vini e i paesaggi con accenti evocativi e, infine, nel 1968, Soldati si prenderà la rivincita nel bestseller (e longseller, dato che è in libreria da 50 anni) Vino al Vino, dove denuncia di aver colto Monelli “in flagrante delitto di sogno”. Davvero un bel confronto tra giganti della scrittura.
Il dibattito è vivo ancora oggi
Ma quindi, ha vinto lo stile di Mario Soldati? In realtà, ritroviamo – mutatis mutandis – le posizioni dei due autori nei dibattiti contemporanei, come dimostrano le osservazioni di Luciano Ferraro su queste pagine (Civiltà del bere 4/2019, pag. 11) dove si cita la posizione di Eric Asimov, collaboratore di The New York Times. Questi sostiene che oggi bisognerebbe applicare un modello diverso da quello delle degustazioni alla cieca e del punteggio in 100/100, con un approccio che valuti più il produttore delle singole bottiglie. Insomma il trionfo del contesto.
Etica ed estetica del vino
Siamo convinti che, quando beviamo vino, accogliamo in noi la visione di un viticoltore ed entriamo in condivisione col suo mondo, per cui, ad esempio, se il produttore ci è inviso, per quello che pensa o fa, dovremmo astenerci dal bere le sue bottiglie. L’estetica del vino viaggia insieme all’etica.
Sei monelliano o soldatiano?
Non tutti la pensano così e ha senso giudicare alla cieca per rimanere più obiettivi possibile e valutare il vino “alla Monelli”, cioè per se stesso, non per le suggestioni. Il mondo del vino è pieno di professionisti “monelliani” e “soldatiani”. Tra i primi si annoverano alcuni critici ed estensori di guide, i Masters of Wine, i Master Sommeliers, i buyer dei monopoli e dei grandi gruppi, che tra diverse proposte di un vino, ad esempio, un Barolo, devono selezionare in modo imparziale quello che cercano in termini di tipicità, struttura, stile ecc. Tra i secondi, tutti gli altri, soprattutto i giornalisti del vino e una parte della critica.
O forse… veronelliano
Dimenticavamo Luigi Veronelli, grave leggerezza quando si discetta di teoria della critica enologica. Nei due poli egli si pone più vicino a Soldati: il suo linguaggio originale dipingeva mirabilmente le persone e rendeva i vini quasi umani, intrecciandoli con tutto il senso che un’anima sensibile sapeva cogliere intorno all’etichetta. La bilancia insomma pende sempre dalla parte di Soldati, ma per esperienza esortiamo chiunque voglia capire a fondo il vino a non dimenticare nemmeno Monelli, magari procedendo in due fasi, alla cieca e poi in chiaro.
Tag: editoriale, Monelli, Soldati, VeronelliQuesto articolo è tratto da Civiltà del bere 5/2019 . Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 11/10/2019