Scienze Scienze Riccardo Oldani

Due misteriose molecole nel vino. Uno studio italiano

Due misteriose molecole nel vino. Uno studio italiano

Quando, nel 2011, un gruppo di studiosi australiani individuò in alcuni vini rossi una misteriosa sostanza, che chiamò U1, la sorpresa, almeno tra gli addetti ai lavori, fu grande. Ma c’è voluto il lavoro e l’impegno di un team dell’Università di Camerino per capire che U1, in realtà, sono due molecole, gli acidi 2- e 3-isopropilmalico. Il gruppo italiano ha poi proseguito le sue indagini ed è giunto ad altre interessanti conclusioni sulle due sostanze. Ci siamo fatti raccontare di che cosa si tratta.

Che il vino sia un prodotto straordinariamente complesso e ricco di sfumature non è certo una novità, né per gli addetti ai lavori né per gli appassionati. Ma che potesse addirittura nascondere molecole sconosciute, e finora passate inosservate a eserciti di studiosi e ricercatori davvero in pochi avrebbero potuto immaginarlo. Un primo indizio della presenza di una sostanza ignota risale al 2005, quando un gruppo di ricercatori australiani dell’Università del Queensland individuò ben due composti durante una ricerca sui polifenoli dei vini rossi. Una di queste, denominata U1, aveva peso molecolare 176 u, l’altra, battezzata U2, peso molecolare 508 u. Un successivo studio dell’Università di Urbino, coordinato dalla professoressa Sara Salucci, aveva individuato queste due misteriose sostanze e deciso di andare più a fondo, chiedendo supporto a ricercatori della Scuola del Farmaco e dei Prodotti della salute dell’Università di Camerino per una più approfondita analisi.

La sorpresa nella sorpresa

Da quello spunto originario si è sviluppato un interessante filone di ricerca, che ha portato gli studiosi dell’Università di Camerino a capire come dietro alla sigla U1 si nascondessero in realtà non una ma, sorpresa nella sorpresa, addirittura due sostanze, con lo stesso peso molecolare e costituite dagli stessi elementi, ma organizzati in due strutture differenti, e cioè gli acidi 2- e 3-isopropilmalico. Abbiamo parlato con due ricercatori del gruppo, Giovanni Caprioli e Massimo Ricciutelli, per farci spiegare il significato di questa scoperta. Anche perché il loro gruppo ha approfondito il lavoro di questi acidi e ha pubblicato di recente, sulla rivista scientifica “Food Chemistry”, un nuovo studio condotto su 40 vini italiani, 19 rossi e 21 bianchi, che tutti hanno rivelato la presenza di queste molecole, ora non più così misteriose (qui i riferimenti diretti).

L’acido 2 batte il 3 dieci a uno

«Nella nostra analisi», dicono i due, con cui abbiamo parlato in tandem, «abbiamo visto come l’acido “2” (lo chiamiamo così per amor di brevità, ndr) sia presente nei vini in concentrazioni superiori all’incirca di 10 volte rispetto all’acido “3”, e in quantità più elevate nei rossi rispetto ai bianchi, fino a 40 mg/l», che è una quantità già abbastanza importante, superiore per esempio a quella del resveratrolo, le cui proprietà antiossidanti sono state tanto decantate negli scorsi anni.

Un nuovo metodo di analisi

Lo studio aveva lo scopo principale di individuare un metodo standard e semplificato per identificare la presenza delle due sostanze, che si erano rivelate particolarmente elusive in passato, e che gli studiosi di Camerino erano riusciti a caratterizzare inizialmente soltanto ricorrendo ad analisi particolarmente fini, condotte con tecniche di cromatografia liquida abbinate alla spettrometria di massa. Metodi usati anche nei controlli antidoping, complessi e costosi. «Ci siamo procurati due “standard” delle due sostanze», spiegano Caprioli e Ricciutelli, «grazie ai quali abbiamo messo a punto un nuovo metodo analitico, veloce e preciso, per individuare gli acidi 2-IPMA e 3-IPMA, che abbiamo testato appunto sui 40 vini esaminati nel nostro studio». Un metodo ora accessibile ai produttori curiosi di sapere se i loro vini contengono le due molecole.

E i benefici?

Ma la curiosità non si è esaurita qui. Il passo successivo è stato avviare studi per capire quali effetti i due composti abbiano sul vino. L’articolo pubblicato su “Food Chemistry” indica già qualche risultato. «Sappiamo per esempio», dicono Caprioli e Ricciutelli, «che 2-IPMA e 3-IPMA non sono tossici e che svolgono una modesta azione antiossidante, antibatterica e detossificante, in particolare contro l’alluminio».

Prospettive future

«Questi primi risultati ci indicano interessanti strade da percorrere per il futuro, in particolare in tre direzioni: verificare se le due molecole possono avere un’attività nel sequestro di altri metalli tossici, come per esempio il rame, molto usato in viticoltura; capire se e come possano giocare un ruolo nell’invecchiamento dei vini, dato che i primi studi australiani avevano individuato un aumento della loro concentrazione dopo un anno in bottiglia; e, infine, scoprire se possono influire anche sul gusto del vino, considerato che, per esempio, la polvere di 3-IPMA ha un odore molto caratteristico».

In cerca di supporto

Per proseguire in queste direzioni i ricercatori dell’Università di Camerino hanno ovviamente bisogno di mezzi o anche soltanto del supporto di consorzi o di produttori interessati a scoprire qualcosa di più sugli acidi isopropilmalici e sulla loro azione nel vino. «Purtroppo», dicono i due ricercatori, «il Covid-19 non ci ha certo semplificato le cose e ci ha frenato un po’, anche perché al momento lavoriamo in spazi dimezzati rispetto al normale, in attesa che sia pronto, nel 2021, un nuovissimo laboratorio di analisi per il nostro gruppo di ricerca».

Ma alcuni interessanti contatti sembrano già avviati. E, del resto, come non si può essere curiosi riguardo a due sostanze che così a lungo si sono fatte beffe degli analisti e che solo l’occhio acuto di un gruppo di ricerca italiano ha saputo portare alla luce?

Foto di Vinotecarium

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© Riproduzione riservata - 06/12/2020

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