Dal nostro archivio (1981): I consigli pratici di un esperto enologo
Dopo aver trattato il tema dell’invecchiamento, in questo articolo Giacomo Tachis torna a parlare dell’“affascinante viaggio del vino nei misteri di rovere e quercia”, spiegando i motivi della stagionatura, le differenze tra doghe segate e spaccate e molti altri fattori da considerare nella scelta del vaso vinario.
Dopo aver esposto i criteri per l’invecchiamento dei vini, esaminiamo le caratteristiche tecniche dei vasi vinari e che cosa accade quanto il vino viene messo a contatto del legno. Nella gamma del legname, la quercia è classificata come poco profumata e senza sapore o quasi rispetto a molte altre essenze legnose.
I diversi legni di quercia
L’odore di quercia richiama il buon aroma che si avverte in casa del falegname e del bottaio. Esso non è stato molto studiato nell’azione sui vini, mentre un certo interesse scientifico si è manifestato per le sue interferenze sulle acqueviti, in particolare cognac e whisky.
Secondo i suoli e i climi di provenienza, e secondo il modo di coltivazione e di conduzione del bosco, il legno di quercia acquisisce certi caratteri fisici e organolettici. Per esempio vedi le diversificazioni tra i legni di Limousin e quelli di Tronçais in Francia, specialmente per quanto riguarda la loro tannicità. Un buon fusto di quercia deve sapere un po’ di vaniglina e questo sapore sembra crescere nella botte col tempo e con la conservazione del vino. Nel cuore del legno di quercia le sostante estraibili a carattere organolettico rappresentano circa lo 0,60-0,70 del peso asciutto.
Caratteristiche e tecniche di lavorazione
Per fare una botte buona il legno deve avere forza, elasticità e lavorabilità, caratteristiche queste che si riscontrano ampiamente nel rovere, tanto che esso rappresenta addirittura il parametro di robustezza a cui sono spesso paragonati gli altri legni. I caratteri strutturali che rendono il rovere importante per la fabbricazione delle botti sono i “raggi”, inoltre i suoi fasci sono altamente compatti, date le grandi pareti cellulari.
Quando il tronco viene tagliato in sezioni della lunghezza desiderata per le doghe, viene poi diviso in quarti, cioè segato in quattro e le doghe sono tagliate in modo che i raggi siano paralleli alla lunghezza della doga stessa e perciò perpendicolarmente opposti alla diffusione del liquido attraverso gli spessori del fusto, a fabbricazione ultimata.La suddivisione in quarti riduce anche il cambiamento dimensionale della ampiezza della doga quando essa si restringe nell’asciugarsi e si dilata nel bagnarsi. Questa probabilmente è la ragione per cui i primi bottai iniziarono a segare in quattro le doghe.
Il perché della stagionatura
La quercia da verde ad asciutta si restringe solo dello 0,15% in lunghezza, ma di circa il 13% in volume. La sua stagionatura è estremamente importante per due ragioni:
– perdita di umidità residuale;
– miglioramento delle qualità organolettiche del legno, per il modo di trasformarsi dei suoi composti chimici come il tannino, le cellulose, le reazioni enzimatiche. A queste si aggiungono anche le azioni delle radiazioni solari (raggi ultravioletti), delle precipitazioni atmosferiche e delle differenze di temperatura fra giorno e notte e l’alternarsi delle stagioni. Una buona stagionatura deve durare almeno due anni, ma che tre. È interessante conoscere la differenza organolettica fra un legno stagionato naturalmente e uno stagionato artificialmente. Quest’ultimo si può dire che è disseccato, cioè disidratato alla giusta misura, ma non ha quasi più profumo.
La ricerca del corpo e dell’equilibrio
La quercia ha, come già si è detto, un ponderato contenuto in tannino e lignina e questo è significativo per la qualità della botte. Per esempio il castagno contiene spesso più fenoli e tannini estraibili che possono nuocere al vino. Il tannino del legno di quercia è estratto facilmente dal vino e insieme ad altri composti di estrazione contribuisce, fino ad un certo limite, allo sviluppo del profumo ma specialmente del “corpo” del vino stesso durante la conservazione in botte. È chiaro che questo gradevole sapore e aroma che il rovere può comunicare non deve prevalere sulle caratteristiche originarie del vino: in esso devono mantenersi gli aromi primari e secondari per prima cosa ma poi – e in questo caso si parla di grandi vini rossi da invecchiamento o di particolari vini bianchi di alta classe – la cessione di sostanze estrattive di un buon legno nuovo in giusta e parca misura conferisce delle “sfumature” organolettiche del tutto particolari e il vino che ne deriva, anche se si stacca dalla tradizionalità classica, diventa molto piacevole.
Legno segato o spaccato?
Il legno di quercia cresciuta lentamente in genere è migliore nei suoi caratteri organolettici di quello di quercia a rapida crescita, perché più ricco in sostanze estrattive.
Dal punto di vista costruttivo, il legno nella sua superficie interna può essere “segato” oppure “spaccato”. Tra questi due sistemi esiste una differenza notevole nella costruzione della doga segata o di spacco – per quanto riguarda la struttura legnosa, anche se allo studio microscopico non si evidenziano grandissime differenze.
C’è da dire che il legno di spacco per effetto del taglio netto conserva l’integrità cellulare sulla superficie, rappresentando lo spacco la semplice separazione delle fibre cellulari, mentre l’operazione di segatura rompe le fibre e quindi anche le pareti cellulari. La superficie spaccata non è piana al tatto, ma risulta più netta al microscopio, mentre quella segata risulta più piana al tatto, ma più pelosa al microscopio.
Perché preferire le doghe spaccate
Sulla superficie di spacco il vino scorre longitudinalmente fra le avvallature delle fibre cellulari, ma non penetra in esse, se non nelle parti che hanno subìto abrasioni, e neppure si estende molto, mentre nella parte segata il vino si estende per effetto della peluria e penetra a sua volta.
Esiste pertanto una differenza di penetrazione e anche una differenza di diffusione, perché sulla parte di spacco il raggio midollare forma una barriera per la penetrazione del vino, mentre nella superficie segata la penetrazione può presentarsi in obliquità. Quindi il vino penetra di più e raggiunge maggior profondità su un legno segato e conseguentemente la cessione del sapore di legno al vino sarà più rapida che non con legno di spacco, e forse più duratura, ma anche più costosa nell’avvinamento e nei cali di conservazione.
Le reazioni del vino
Le reazioni più importanti che distinguono la maturazione del vino in botti di legno sono principalmente tre:
– Evaporazione dell’alcol e dell’acqua attraverso il contenitore (specialmente attraverso le fenditure).
– Immissione di ossigeno nel vino in seguito alla permeabilità delle fenditure.
– Estrazione di sostanze dal legno da parte del vino.
Tutte queste reazioni sono molto correlate alla superficie e sarebbero più intense se la superficie rispetto al volume del contenuto fosse maggiore.
In America, in Francia e un po’ anche in Italia è stata studiata l’estrazione del tannino dal legno durante il contatto con il vino e da queste ricerche piuttosto delicate e impegnative sono parte deduzioni assai utili agli effetti pratici.
I principali fattori da considerare
Così sono stati diversificati due gruppi di tannini, che in parte sono già nel vino e in parte vengono ceduti dal legno al vino stesso. In particolar modo uno di questi due gruppi di tannini caratterizzerebbe la permanenza del vino in botte nuova e in base a questo fatto alcuni studiosi americani hanno determinato le quantità tanniche estratte dal vino nello spessore del legno e nell’arco di tempo. Questa procedura di indagini sarebbe utile addirittura per monitorizzare l’invecchiamento del vino nei contenitori di legno e per studiarne gli effetti nelle applicazioni più svariate.
Studi veramente interessanti per chi si appassiona a questo sistema di invecchiamento, perché ci permettono di seguire in maniera molto tecnica l’evoluzione del vaso vinario e di farci dei conti quasi scientifici per lo sfruttamento del legno e la sua eventuale riutilizzazione a contenitore “stanco”.
Altri dati che fanno la differenza
In botti grandi da 50-80 hl, con doghe di 55 mm, il vino penetra fino a 15 mm di profondità in circa 8-10 mesi di tempo, mentre per un fustino da 200 litri la penetrazione a 6 m. di profondità avviene in due mesi circa. Se non ci fossero dei limiti di spazio alla penna, gli argomenti sul contatto legno-vino non finirebbero mai. Voglio solo ricordare che in base a dati così scientifici, tecnici e pratici, l’enologo, il produttore, il cantiniere devono ben verificare quali trattamenti eseguire alla botte nuova (cioè se tradizionali o non), prima di introdurvi il vino, perché il buon esito finale del prodotto dipenderà anche da essi.
Tanti problemi che l’enologo si deve imporre e poi risolvere, prima che il vino passi in ambiente di asfissia nella bottiglia dopo un certo contatto col legno, oppure scavalcando addirittura il legno. Criteri delicati ed esigenti di conoscenza del vino e del gusto del consumatore, oltre che della tecnologia.
Non dobbiamo dimenticare comunque che mentre la botte (o il fusto) non è indispensabile, il vetro lo è sempre per l’affinamento del vino. La bottiglia è un grande mezzo di perfezionamento del vino ed è il suo migliore, più fedele e sicuro rifugio.
Giacomo Tachis (1933-2016), tra i maggiori enologi italiani, padre dei SuperTuscan, del Turriga, del San Leonardo e di molti altri vini-mito italiani
Foto di apertura: elaborazione grafica © V. Fovi
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© Riproduzione riservata - 10/01/2025