
Dal nostro archivio (1981) | Grandi firme per Civiltà del bere: la grappa secondo Cesare Marchi

In questo articolo di inizio anni Ottanta il noto scrittore e giornalista evidenzia il “boom senza precedenti” del nostro distillato di bandiera, definendolo “l’equivalente alcolico del pollo ruspante”. Uno spiritoso ritratto tra virtù organolettiche e richiamo alle “radici italiche”.
Non rutta più. Ha imparato le buone maniere. Era il latte dei montanari, il carburante dei facchini, il viatico dei carrettieri. Adesso è passata dalle osterie ai salotti, una seducente pubblicità televisiva mostra una ragazza sexy con una bottiglia, sotto la quale si legge “il lato morbido della grappa”. Quello della grappa è un boom senza precedenti, cui hanno collaborato attivamente le donne, imparando a fumare in massa. Il fumo mal si concilia con i liquori dolci, gozzaniani… Beviamo secco perché viviamo in anni secchi, di scarse tenerezze e arida violenza. Nell’era della sopraffazione e del terrorismo, chi ha voglia di sorseggiare rosoli? A cronache forti, liquori forti.
Il valore della grappa
La regina Elisabetta la bevette il giorno delle nozze, inviatale da un produttore di Bassano del Grappa; Kossighin la degustò all’Harry’s Bar di Venezia, e se ne fece spedire un cartone a Mosca. Hemingway, da Cipriani, la alternava al “Montgomery”, cocktail da lui inventato, 15 parti di gin e una di Martini, così battezzato perché il maresciallo inglese, prima di attaccare i tedeschi, pretendeva che gli schieramenti fossero nel rapporto da quindici a uno. La grappa piace per il suo carattere forte, privo di smancerie, per quel suo ricordare agli italiani, sensibilissimi post prandium ai valori patriottici, l’epopea del Quindici-Diciotto, con quel nome bifronte, che sa di vigna e di trincea. Monte Grappa, tu sei la mia patria: fu il monte a dare il nome all’acquavite o viceversa?
E il piacere della grappa
“La grappa è come il mulo” ha scritto un capitano degli alpini, “non vanta antenati, non ha speranza di posteri, ti scorre dentro a zig-zag come il mulo in montagna; puoi aggrapparti a lei se sei stanco, fartene scudo se sparano, puoi parlarle che ti risponde, e se proprio hai deciso di morire, ti sorride”. Ho conosciuto un emigrante friulano che si era portato all’estero l’alambicco clandestino. “Bere la mia grappa è come ricevere una lettera da casa”, mi disse. Quella illegale ha parecchi nomi: la furba, la stellina (perché fatta di notte), grappa del buso (fatta in caverna) – Oppure Madama Butterfly, per via del fil di fumo che, in mezzo alla valle, la “volpe”, cioè la guardia di finanza, vede spuntare e subito accorre per sorprendere i contrabbandieri in flagrante alambicco. In tal caso, questi fracassano con un calcio la damigiana, così svanisce il corpo del reato, e l’incriminazione diventa più difficile.
Controlli e leggende
È nota la storiella dello scozzese, nella cui casa un ispettore di Sua Maestà trovò un alambicco ma neanche un goccio di whisky. Condotto davanti al giudice che già stava per condannarlo, l’imputato chiese la parola: “Vostro onore, Vi prego di condannarmi anche per violenza carnale”. “Ma voi non avete violentato nessuna donna”. “È vero” replicò slacciandosi i pantaloni, “ma ne possiedo l’attrezzatura necessaria”.
La guerra tra controllori e distillatori abusivi si è allentata negli ultimi tempi, a ben altri livelli si trovano i veri evasori del fisco, così diventa sempre meno probabile il ripetersi di episodi come quello del corpulento finanziere, che inseguiva l’agile clandestino in fuga tra fossi e reticolati. “Fèrmete!” gridava la guardia col cuore in gola, “fèrmete, no ghe ne posso più”. E il fuggitivo, che doveva essere in tutti i sensi una persona di spirito, voltandosi rispose: “Fèrmete ti, che no te core drio nessun!”.
Benefici e virtù contro i malanni
Clandestina o legale, un bicchierino di grappa equivale, per calorie, a due uova o a mezzo etto di carne. Alcuni studiosi ritengono che aiuti le funzioni gastriche, combatta l’insonnia e, addirittura, l’obesità. Caterina Sforza, guerriera e medichessa, con l’acquavite guarì il figlio di pochi mesi, il futuro Giovanni dalle Bande Nere. Diceva che è “acqua perfettissima a guarire peste e vermi. Ad uno homo se ne dà uno quarto, ad uno mammolo mezzo quarto, ad uno piccolino una ottava”. Ai tempi nostri, Giacomo Ceschia, creatore della omonima grappa che si distilla a Nimis (Udine), si faceva con essa i massaggi contro i reumatismi. Dal barbiere, frizione ai capelli. Ne teneva sempre in tasca una boccetta. È morto a 105 anni.
Simbolo delle nostre radici
Nata in convento, nei secoli bui, distillata dai monaci come ilare intervallo tra la copiatura d’un codice e la semina dei piselli, la grappa è rimasta fedele al voto di castità. Non si marita con altri liquidi, non sopporta l’ammucchiata del cocktail. Come tutti i montanari, crede solo in sé stessa, diffida dei “foresti”. Il suo boom va collegato con il revival del mondo arcaico, il ritorno, o il rimpianto, della antica civiltà contadina, le vecchie madie, i rami appesi alle pareti fumose, i macini da caffè. È l’equivalente alcolico del pollo ruspante, del minestrone con la cotica. Nei trumeau-bar, whisky e cognac, i boriosi cugini laureati alla Sorbona e a Oxford, guardano con gelosia questa contadina a forma di zucca, di borraccia, di fiasca, di corno da caccia, avvolta nel sacco, che “va sempre più in alto” e che gli ospiti da un po’ di tempo richiedono con sempre più soddisfatta frequenza. Riscoperta della nostra identità? Può darsi. Per ritrovare le nostre radici italiche, niente serve meglio di questa contadina, che fino a ieri firmava con la croce.
Cesare Marchi (1922-1992), scrittore, giornalista e personaggio televisivo, autore della celebre grammatica Impariamo l’Italiano e della rubrica Almanacco del giorno dopo in Rai
Foto di apertura: elaborazione grafica © V. Fovi
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© Riproduzione riservata - 24/01/2025
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