Da Soldati e Veronelli all’alba dell’era post-Parker
L’addio lavorativo di Parker segna l’inizio di una nuova era per la critica del vino? Probabilmente no, perché il sistema di valutazione che ha lanciato è quello dominante. Ma è arrivato il momento di riflettere su come critici, giornalisti e divulgatori del vino parlano ai loro lettori.
All’inizio c’erano solo i consigli pratici. Il primo articolo rilevante del Corriere della Sera sul vino è del Natale del 1900: “I tagli (miscugli) dei vini si possono fare sempre, ma il miglior risultato si ha facendo il taglio presto, con vini giovani…”. Poi sono arrivati gli scrittori, come Mario Soldati: “Un vino bisogna considerarlo come il volto di una fanciulla, come un cielo, un tramonto, un paesaggio, un’opera d’arte, come qualcosa, insomma, che vive e che fa parte della nostra vita”.
Da Vino al Vino al Catalogo Bolaffi dei vini del mondo
Il suo libro Vino al vino. Alla ricerca dei vini genuini, come ha spiegato il critico Fabio Rizzari, “è per il mondo degli enofili ciò che è il Talmud per quello degli ebrei, o la Stele di Rosetta per gli egittologi, o il navigatore di Google maps per gli automobilisti”. Era il frutto di tre reportage su Grazia e Epoca dal 1968 in poi. Nello stesso periodo sono apparse in Italia prima le enciclopedie (come il Catalogo Bolaffi dei vini del mondo, di Luigi Veronelli, 1968) e, vent’anni dopo, le guide, con la prima premiazione, a Firenze, quando vennero materialmente consegnati tre bicchieri di vetro ai produttori migliori.
Robert Parker e la filosofia del “per tutto c’è un voto”
Se in Italia la critica del vino ha avuto come figura centrale Veronelli, forte di una cultura umanistica che gli permetteva di interpretare la società oltre che le bottiglie, dall’altra parte dell’Atlantico la visione è stata più materiale. Nel 1978, negli Stati Uniti, uno sconosciuto avvocato di Baltimora punta tutto su indipendenza e onestà di giudizi e pubblica The Wine Advocate, che diventerà la pietra miliare del settore. Parker è stato il primo a introdurre una scala di valutazione dei vini basata sul sistema dei 100 punti. Ha sempre sostenuto che la nostra vita, soprattutto quella degli americani, è un insieme di tappe per le quali riceviamo un voto, dalla scuola in poi. Quindi non c’è miglior modo per esprimere un giudizio che un voto, decifrabile da tutti.
Cosa cambia con Parker in pensione
Ora Parker è andato in pensione. Sette anni fa aveva venduto quote della società a un fondo di investimento asiatico, poi ha ceduto il 40% alla Michelin, la multinazionale di pneumatici che pubblica le guide più famose sui ristoranti.
L’addio lavorativo di Parker segna l’inizio di una nuova era per la critica del vino? Probabilmente no, perché il sistema di valutazione che ha lanciato è quello dominante. Ma è arrivato il momento di riflettere su come critici, giornalisti e divulgatori del vino parlano ai loro lettori.
Il parere di Eric Asimov
Il primo a esserne convinto è Eric Asimov, che scrive per The New York Times. In un lungo articolo sull’era post-Parker ha demolito la valutazione dei vini con il punteggio decimale. Ammette che il metodo Parker sia servito a “divulgare e istituzionalizzare” il vino nel mondo. Ma aggiunge che ora “serve un modello migliore che possa essere più utile per i consumatori, un sistema che li aiuti a fare delle scelte proprie, invece di legarle continuamente alle recensioni delle bottiglie”.
Ha senso valutare vini degustati alla cieca?
Asimov racconta le degustazioni alla cieca, quelle sessioni con le etichette coperte in cui i degustatori di professione riescono, sorseggiando e sputando, ad assaggiare e assegnare un voto, anche a più di 100 bottiglie per ogni sessione. Un lavoro rischioso, sostiene Asimov, perché il vino cambia a seconda del luogo e del momento in cui viene bevuto. Sulla valutazione influisce perfino l’umore del critico. Niente di scientifico, quindi, ma grande spazio alla discrezionalità.
Forse sarebbe meglio giudicare chi il vino lo fa..e come lo fa
Cosa propone quindi Asimov? “Forse”, scrive, “è meglio valutare i produttori piuttosto che le bottiglie particolari. Per il loro stile nel fare il vino, per come producono e come coltivano, per le loro idee, e così via. Molti già lo fanno, generalmente sui libri, perché questo tipo di scrittura non ha bisogno di essere ripetuto annata dopo annata. Queste informazioni sono più utili, più facili da memorizzare e più durature”.
Capito, signori critici del vino?
Tag: controvento, Eric Asimov, Luigi Veronelli, Mario Soldati, Robert ParkerQuesto articolo è tratto da Civiltà del bere 4/2019 . Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 16/08/2019