Cosa succede in Oltrepò Pavese – 2ª puntata
Negli ultimi mesi sono cambiate moltissime cose in questo territorio del vino lombardo, fondamentale nell’economia della viticoltura regionale. In primis il nuovo management del Consorzio di tutela e, a ruota, le immancabili polemiche. Il punto della situazione.
Cosa sia successo in questo triangolo di vigna posto a sud della Lombardia, che da solo vale quasi la metà del vino prodotto nell’intera regione, è ormai cronaca. Da gennaio ad oggi, rispetto a quando ne avevamo scritto in questa rubrica, è cambiata la guida del Consorzio dell’Oltrepò Pavese – da Gilda Fugazza a Francesca Seralvo – e cambierà anche il direttore – Carlo Veronese ha terminato il 30 giugno. Il nome del suo successore è cosa anch’essa nota alle cronache e non più un segreto, ma è giusto aspettare il suo arrivo ufficiale, anche perché c’è di mezzo un altro ente di tutela vinicolo.
L’addio di cinque imbottigliatori
Le polemiche, però, da queste parti le fabbricano un po’ come la nebbia presente sulla pianura padana che si vede dal ciglio delle sue belle colline. E così nell’ultimo mese sono cambiati anche cinque membri del Cda, cinque imbottigliatori che se ne sono andati sbattendo la porta (Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Azienda vitivinicola Vanzini, Società agricola Vercesi Nando e Maurizio e Losito e Guarini), sostituiti da Cristina Cerri Comi (Tenuta Travaglino), Stefano Dacarro, (La Travaglina di Santa Giuletta), Alessio Brandolini (dell’omonima cantina), Edoardo Scanavino (enologo di Montelio), Stefano Torre (enologo di Monsupello). Il clima? Diciamo che di nubi ce ne sono ancora un bel po’, ma la nuova presidente tutto appare tranne che titubante o impaurita.
Il commento della presidente Francesca Seralvo
«Dissesto finanziario? Non è possibile crearlo in tre mesi». ha ribadito Francesca Seralvo, terza generazione al timone dell’azienda Mazzolino, durante il nostro recente incontro dal vivo, rimandando di fatto al mittente una delle critiche sollevate dai cinque imbottigliatori che sono usciti dal Cda. Il debito da 500 mila euro che si legge sul bilancio e i 400 mila euro da restituire entro la fine dell’anno? «Abbiamo già chiuso una buona parte di questi debiti perché sono tutti frutto di finanziamenti aperti per fare delle attività coperte da bandi. La situazione è completamente sotto controllo. Tra l’altro proprio negli ultimi due mesi ci sono arrivati dei fondi a copertura di questi finanziamenti che nel frattempo sono stati chiusi, quindi rispetto al bilancio sono già cambiate molte cose».
Il modus operandi deve cambiare
Il modus operandi del Consorzio sino ad ora, che secondo la neo presidentessa consisteva nel chiedere un finanziamento per un’attività a fronte di un bando emesso dalla Regione a copertura dell’80% dei costi, deve essere cambiato. «Vorremmo fare le attività che decidiamo di portare avanti se abbiamo i soldi a disposizione: questi bandi poi non sai mai se li ottieni veramente, e in caso negativo poi sarebbe veramente un problema». Sul fronte dei costi, afferma inoltre Francesca Seralvo «è già in atto un taglio delle spese e dei contratti di consulenza, dove considerati non necessari».
Verso una razionalizzazione dell’offerta
Le giacenze delle Doc pavesi, a maggio di quest’anno, risultano cresciute del 10% in media, un segnale di evidente rallentamento e sofferenza che arriva da un mercato sostanzialmente fermo. Tra i programmi che la nuova dirigenza del Consorzio vuole mettere in pista c’è, a questo proposito, anche una riorganizzazione dell’offerta commerciale, che passa dalla revisione dei disciplinari di produzione. «Dobbiamo mettere ordine alle diverse anime di questo territorio. Dobbiamo guardare al presente, ma soprattutto al futuro, pensando a cosa berranno i consumatori tra dieci anni. È lì che ci dobbiamo interrogare, è lì che un consorzio deve lavorare, dando indicazioni. Le soluzioni, poi, verranno condivise, ma dobbiamo parlarne, dobbiamo affrontare il tema partendo da dati di fatto dei quali siamo tutti consapevoli».
La ricchezza presente nell’offerta del territorio oltrepadano, in grado di coprire una carta dei vini con una produzione che praticamente annovera al suo interno tutte le tipologie esistenti, non sembra quindi più attuale. «È stato forse un valore aggiunto nel passato, oggi è tempo di specializzazione, di ordine soprattutto. Dobbiamo creare una piramide qualitativa e dare un’idea più chiara al consumatore di che cosa facciamo e che cosa proponiamo».
Promozione e internazionalizzazione
Anche sul fronte della promozione del territorio, Francesca Seralvo ha idee differenti rispetto al passato non tanto su dove andare, ma su come. «Nei prossimi anni dobbiamo concentrarci sulla programmazione, bisogna capire non solo dove vogliamo andare, ma con che cosa». Insomma, prima di andare all’estero a promuovere l’Oltrepò Pavese e il suo vino, bisogna decidere con cosa proporsi e quale obiettivo si intende raggiungere. «Tornando alla domanda di prima, il proporci come un territorio dove facciamo tutto perché viene bene tutto, non funziona. Bisogna invece dire cosa facciamo bene e andarlo a spiegare». Un lavoro non semplice, che ha bisogno di tempo: «Non sono lavori di tre mesi. Rimetteremo in piedi tutta la macchina delle attività, però oggi è importante darsi un obiettivo: che cosa vogliamo fare, chi vogliamo essere, come ci vogliamo proporre».
L’inedita alleanza tra viticoltori privati e cooperative
Ovviamente, se l’intenzione è di dare un indirizzo completamente nuovo a un areale tanto vasto e ricco di anime molto differenti al suo interno, come quelle che albergano in Oltrepò Pavese, ci vuole una saldatura tra una parte di loro. Ed è quello che è successo tra due cantine sociali come Torrevilla e Terre d’Oltrepò e i piccoli/medi viticoltori privati, alleanza che ha poi portato all’elezione di Francesca Seralvo. «Le cooperative per la prima volta si sono girate veramente verso noi piccoli viticoltori», continua la neo presidentessa. «Questo grazie alla lungimiranza di un nuovo management che è presente al loro interno, a partire da Terre d’Oltrepò, guidato da Umberto Callegari. Hanno capito che la valorizzazione del territorio parte dalla filiera, dalla remunerazione degli agricoltori e dalla bottiglia, quindi anche loro si sono dati l’obiettivo di crescere in questo senso».
I rischi legati alla perdita dell’erga omnes
Una partnership che, evidentemente, preoccupa gli imbottigliatori che hanno minacciato anche l’uscita dal Consorzio oltre che dal Cda, un’eventualità che, considerando il loro peso come quote, il 12%, ma soprattutto quello della produzione di vino Doc, il 30%, farebbe cadere l’attività definita erga omnes. I Consorzi di tutela, infatti, per poter esercitare le proprie azioni anche nei confronti dei produttori non associati devono rappresentare ameno il 40% dei viticoltori e almeno il 66%, inteso come media, della produzione certificata, di competenza dei vigneti dichiarati a Doc/Docg o Igt negli ultimi due anni. Le attività del Consorzio che rientrano nell’erga omnes sono diverse; ad esempio, ideare specifiche politiche di gestione di una denominazione, salvaguardare e tutelare gli interessi dei produttori nelle sedi giudiziarie e amministrative, sviluppare attività di promozione e valorizzazione, nonché, aspetto non certo secondario, svolgere funzioni di vigilanza con l’ICQRF e in raccordo con le Regioni.
«È una situazione che certamente ci preoccupa», continua ancora Francesca Seralvo. «Sul fronte erga omnes, se succedesse, bisognerebbe andare a vedere le singole denominazioni, perché si misura su ciascuna denominazione e noi sappiamo benissimo che cosa ci potrebbe accadere qualora succedesse questo. Dovremmo riorganizzarci». Una questione certamente delicata e che ruota anche intorno ad un aspetto prettamente economico: la perdita dell’erga omnes equivarrebbe, infatti, anche alla perdita delle quote di chi è fuori dal Consorzio. Se pensiamo a una denominazione dove gli imbottigliatori sono forti, ad esempio la Bonarda, sarebbe certamente un problema non indifferente e a quel punto bisognerebbe trovare il modo recuperare la perdita economica in un altro modo.
Il progetto del nuovo disciplinare della Docg
Insomma, un inizio certamente in salita per la nuova presidentessa e il nuovo Cda, probabilmente messo anche in cantiere prima di iniziare questa nuova avventura. Trapela poco, in questo momento, sui nuovi obiettivi e programmi anche se sembrano essere ben presenti. «Li abbiamo ovviamente ben chiari, ma prima vanno condivisi con tutti. Sicuramente, per dirne uno, dobbiamo depositare in Regione il nuovo disciplinare della Docg, è una cosa su cui sul territorio ci si lavora da tanto, è ora arrivato il momento di mettere un punto». In passato, durante la precedente gestione, si parlava di togliere l’aggettivo “Pavese” e portare la presenza del Pinot nero dal 70 all’85%, per consentire di mettere in evidenza il nome del vitigno in etichetta. E tuttavia non è detto che ora saranno queste le modifiche.
Ma l’obiettivo di guidare il Consorzio era nei piani di Francesca Seralvo? «No, è una cosa arrivata completamente all’improvviso», conclude. «Avevamo chiesto, come gruppo di piccoli produttori, di avere la presidenza del Consorzio, di avere un ruolo, anche per dare proprio un’immagine nuova. Il nome poi è caduto su di me e va benissimo».
Foto di apertura: © L. Rota, elaborazione grafica di © V. Fovi
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© Riproduzione riservata - 29/07/2024