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Con i “No-Ossidax”si rischia il gusto unico del Marsala

Con i “No-Ossidax”si rischia il gusto unico del Marsala

Cesare Pillon tenta una spiegazione rispetto alla crisi di vendite del Marsala. E offre una chiave di lettura interessante che, alla fine, porta una speranza: se combattiamo contro l’omologazione del gusto, cercando emozione anche ad esempio negli orange wines, per il Marsala c’è speranza.

Tutta la monografia del numero 4/2021 di Civiltà del bere, disponibile qui, è dedicata a uno dei più gloriosi vini italiani: il Marsala.

Il Marsala vittima dell’omologazione

Di quale entità sia stato il declino del Marsala lo dice il numero dei suoi produttori. Oggi le aziende che producono questo vino liquoroso non sono più di una ventina, mentre alla vigilia della Seconda guerra mondiale esso godeva di tanto favore da consentire a circa 200 Cantine di prosperare.

L’errore originale

Non è però la prima volta che conosce momenti di crisi, e forse per questo si è ritenuto che a provocarla sia sempre la stessa causa, e cioè la ricorrente illusione di poterne moltiplicare i consumatori abbassando i prezzi con prodotti scadenti. Illusione pericolosissima quand’è applicata in campo alimentare perché ha sempre ottenuto l’effetto opposto, diminuendo talvolta il numero dei consumatori in misura tale da condannare a morte il prodotto che ne era oggetto.

Un problema comune a tutti i fortificati, non solo del Marsala

Per evitare una simile iattura sono state perciò emanate fin dal 1931 norme per tutelare la qualità e circoscrivere la zona di produzione del Marsala; ma per raggiungere questi obiettivi non è bastato neppure l’ottenimento della Doc, avvenuto nel 1969, e neppure le successive modifiche al disciplinare dal 1986 al 2014. Il disciplinare di produzione è stato infatti modificato parecchie volte ponendosi sempre queste finalità. Ma se era giustificata tanta tenacia per bloccare l’involgarimento e la banalizzazione del Marsala, è illusorio ritenere che siano questi i motivi della diminuzione dei consumi.
Attualmente a essere in difficoltà non è soltanto il vino fortificato della Sicilia, lo sono tutti quelli esistenti, dallo Sherry al Porto al Madera.

La battaglia contro i vini ossidati

La ragione del disamore nei loro confronti dipende da qualcosa che hanno in comune. E che cosa li accomuna più della loro natura di vini che nascono (volutamente) ossidati? Il punto è proprio questo: da qualche decennio il gusto collettivo è stato sempre più condizionato da una corrente di pensiero che per valorizzare la fruttosità dei vini ha finito per demonizzarne l’ossidazione, al punto da negare che i grandi rossi di storica nobiltà possano evolversi positivamente anche per decenni invecchiando in bottiglia. È una tesi come un’altra, anche se capovolge ciò che si era sempre creduto. Ma con essa bisogna fare i conti, perché ha saputo conquistare molti proseliti, probabilmente grazie al fatto che i sentori fruttati sono quelli che si percepiscono all’assaggio più facilmente e con maggior immediatezza.

La trasformazione dovuta la tempo

Il fascino della freschezza non dovrebbe far dimenticare che ogni organismo vivente attraversa varie fasi dell’esistenza, e quella in cui esprime al meglio il proprio potenziale è generalmente la maturità, non la giovinezza. È vero che il vino conservato in bottiglia si ossida per l’ossigeno che vi si insinua passando attraverso i pori del tappo di sughero; si tratta di un processo lentissimo durante il quale le sue caratteristiche organolettiche si trasformano.

Si rischia l’estinzione dei fortificati

Ma perché dovrebbero peggiorare, trasformandosi? È proprio in questa fase evolutiva che si misura la grandezza dei vini che vincono la sfida del tempo perché esprimono aromi sempre più complessi. È preoccupante immaginare che cosa succederebbe se l’ossidazione fosse messa al bando non da una normativa ma perché considerata da tutti il nemico numero uno del vino: la tipologia dei vini fortificati sarebbe la prima a scomparire.
Non è una previsione esagerata, il fenomeno ha già cominciato a manifestarsi; il Marsala dolce, previsto e regolamentato anche dal più recente disciplinare di produzione nel 2014, esiste ormai quasi soltanto sulla carta.

Il problema (esagerato) degli zuccheri

Ad aggravare la sua posizione di vino ossidato e a metterlo così fuori gioco prima degli altri è stato l’elevato contenuto di zuccheri, considerato eccessivo in una società come l’attuale che, spinta da preoccupazioni di salute (talvolta infondate), non esita a modificare anche le più consolidate abitudini alimentari. Il rischio che questa deriva provochi un appiattimento delle caratteristiche organolettiche dei vini sul versante fruttato, impoverendo il panorama enologico, è quindi concreto, anche se è in evidente contraddizione con lo spirito che ha dettato uno dei più nobili obiettivi del mondo civile, la tutela della biodiversità.

Ma forse la riscossa è vicina

Ma perché essere pessimisti? I primi segni di una ribellione contro i vini tutti uguali si sono già manifestati con il vivace interesse suscitato dai cosiddetti vini orange.
Che piacciono, sostiene chi li distribuisce, “per quel sapore a metà tra il dolce, il salato, l’acido, l’amaro e l’umami”. Sarà un caso, ma non fa venire in mente il Marsala Vergine?

Questo articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 19/11/2021

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