In Italia In Italia Luciano Ferraro

Comunichiamo il vino per contaminazione (di interessi)

Comunichiamo il vino  per contaminazione (di interessi)

Alla ricerca di nuovi modi per comunicare, il mondo del vino dovrebbe cercare ispirazione da quello del design. Non solo per il successo di massa della Milano Design Week (in cui la città viene invasa da appassionati pronti a mettersi in coda per ogni evento, anche minuscolo). Ma anche per la capacità di “parlare” a tutti, saltando gli steccati.

Un esempio? Tom Dixon, artista tunisino-britannico con opere esposte al Victoria & Albert Museum, al MoMa di New York e Tokyo e al Centre Pompidou. Realizza lampade e mobili strabilianti, spesso con materiali di riciclo. Invece di presentare i suoi lavori in uno showroom, come negli anni scorsi, ha aperto un ristorante. Ha pensato che la maniera più efficace per rivolgersi ai potenziali clienti è di farli pranzare o cenare.

La ricetta di Tom Dixon

«Le persone non hanno un livello alto di concentrazione», sostiene Dixon, «mentre compiono un’esperienza non vedono l’ora di sperimentarne un’altra, l’unico modo per fermare la loro attenzione è farli sedere a tavola, è il solo momento in cui si rilassano. Per tenerli lontani dai telefonini e tablet, ho puntato su un locale coi graniti delle montagne del Nord, le statue del Sud, il cibo del mercato milanese». Al ristorante si potranno comprare lampade e mobili. E, se riuscirà a trovare soci finanziatori, Dixon replicherà l’operazione aprendo un hotel, sempre a Milano.

La sala “Jungle” del The Manzoni

Al The Manzoni la sedia si può acquistare

Intanto sul sito del ristorante dell’artista, The Manzoni, compare un solo vino, un Prosecco Doc. È quello di un gruppo di ragazzi che ha investito forse più sul marketing che sul prodotto, che è stato in grado di farsi conoscere in pochi anni. Si chiama Fiol (che significa ragazzo nel dialetto trevigiano), creato da Gian Luca Passi de Preposulo, con i fratelli Giovanni e Pietro Ciani Bassetti.
La chiave scelta da Dixon è la contaminazione degli interessi. Una discussione su una sedia annoia. Sedersi a tavola per un’ora può consentire di apprezzare (ed acquistare) la sedia. Così può essere anche per il vino.

Amarone, Brunello e Franciacorta illustri sconosciuti

Declamare le caratteristiche tecniche di un vitigno, dibattere sul grado di acidità limita la platea di chi ascolta ai super appassionati. Che non sono poi molti. Anche sulle nozioni di base, come ha dimostrato una recente indagine dell’Osservatorio di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor. Solo un bevitore su quattro è in grado di rispondere correttamente alla domanda: da dove viene l’Amarone della Valpolicella? E se si passa a un altro grande rosso che contiene la risposta già nel nome, la percentuale non cambia: sul Brunello di Montalcino, tre intervistati su quattro sbagliano la provenienza. Dove si trovi la Franciacorta è un mistero collettivo. Va peggio al Sud, i campani e i siciliani sono da matita rossa quattro volte su cinque.

Vigneti in Franciacorta

Il vino non è roba da vecchi benestanti

La comunicazione altezzosa, con un linguaggio da congregazione da affiliati, finirà con lo spingere sempre più giovani verso birra o intrugli alcolici, facendo percepire il vino in buona parte d’Italia (non nelle regioni come il Veneto, dove la quotidianità del rito dell’aperitivo o del pasto con una buona bottiglia non è perduta) come un prodotto da benestanti e attempati borghesi.
Che sia necessario cambiare passo lo stanno capendo anche i guru della critica.

L’esempio di Jancis Robinson

Ad esempio Jancis Robinson, che scrive ogni settimana sulla bibbia della finanza britannica, il Financial Times. In una delle sue ultime rubriche sull’edizione festiva del quotidiano ha elogiato vini che fino a qualche anno avrebbe bocciato senza appello. Come il Brut Imperial di Moët & Chandon, “di gran lunga il prodotto più importante dell’azienda, realizzato in volumi pressoché inimmaginabili”, ovvero una bottiglia di massa, di quelle che ai grandi eno-critici non piacciono proprio. Robinson spiega semplicemente che ora il Brut Imperial è meno dolce e si affina più a lungo, quindi va premiato. E poi elogia il Lambrusco e anche un Prosecco, definendo quello di Casa Coste Piane “di alta qualità”. Jancis è pronta per un pranzo al The Manzoni.

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 3/2019. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 28/06/2019

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