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Come stanno le guide enogastronomiche italiane?

23 Febbraio 2023 Aldo Fiordelli
Come stanno le guide enogastronomiche italiane?

Il nostro collaboratore Aldo Fiordelli prova a rispondere a questa domanda chiave, offrendoci una panoramica sulle strategie messe in atto dalle principali pubblicazioni nazionali per fronteggiare la crisi editoriale e attirare nuovi lettori.

Un enologo toscano quando mi incontra mi chiede sempre: «Ma quando si farà una guida ai vini seria in Italia?». Non è affatto uno dei consulenti meno premiati, fughiamo subito il legittimo dubbio dei più maliziosi.

La strategia della mitica Rossa

Al netto della vena ironica, si potrebbe riformulare la domanda chiedendosi quale sia la guida del vino di riferimento in Italia. Nella cucina, la Michelin è leader indiscussa della critica gastronomica. La Rossa ha saputo sopperire alla crisi generale del cartaceo spettacolarizzando la presentazione delle ultime nuove edizioni e rinnovandola con la complicità di una feconda partnership con il Consorzio della Franciacorta e con quello del Brunello di Montalcino. Per i critici la Michelin ha storicamente premiato un modello se non francese, francesizzante, un limite sempre più evidente seguendo le ultime tendenze in cucina. Gli allievi di Gualtiero Marchesi sono tutti stellati o bistellati, quelli di Paracucchi perlopiù ignorati.
Dei 12 tristellati della Penisola, solo Uliassi, Piazza Duomo, il Sant’Hubertus e il Reale sono quelli con uno stile più italiano. Le tre stelle a Cannavaccioulo, arrivate soltanto nel 2022, sono parse a molti un modo per sfruttare la popolarità dello chef oltre che un merito del medesimo. Tuttavia, la guida rossa ha due qualità che provano la propria leadership. Indigna ancora coi suoi giudizi, cartina di tornasole fondamentale per la credibilità, ma soprattutto ha una simbologia internazionale che le altre guide non hanno.

L’evoluzione della proposta targata l’Espresso

Nel vino analoga sintesi è stata tentata dai tre bicchieri del Gambero Rosso, gli unici dimostratisi in grado di superare le barriere nazionali nel loro periodo d’oro, indebolitasi poi dalla scissione e dalla nascita di Slow Wine. Quest’ultima ha una forte connotazione “slow”, appunto, che ne rappresenta insieme il più grosso merito attuale e futuro, ma anche il limite. La guida vini de l’Espresso, progetto di Enzo Vizzari nato come costola della guida ai ristoranti, aveva costituito un riferimento e la giusta emancipazione dal modello “mangia e bevi” caro alla critica americana.
La squadra Gentili-Rizzari (ma prima ancora Masnaghetti), era stata capace di porsi come leader della critica enologica, ma non vendeva abbastanza. Faceva massa critica, ma non mercato. Ha drenato risorse dalla guida ristoranti finché non ha rischiato di tirar giù entrambe le pubblicazioni, così è stata ridimensionata. Era un prodotto editoriale puro che si reggeva sulle sole copie vendute, senza le tessere dei soci, senza road show a pagamento, senza consulenze. Il nuovo prodotto editoriale l’Espresso di Bfc Media, guidato dall’editore Iervolino e dall’dd Forlani, promette molti eventi come ha già lasciato intravedere con Forbes. Nel frattempo, dovrà fare i conti con la rinuncia di Vizzari che a pochi mesi dalla firma di un cospicuo contratto di consulenza ha preferito farsi da parte e che negli ultimi anni ha rappresentato proprio uno di quei riferimenti della critica sia della cucina sia del vino che l’Italia va cercando.

Perché le guide enologiche sono più in salute

Perché, nonostante tutto, il fermento che si respira nella critica del vino appare superiore a quello della critica ai ristoranti? Ci sono diverse ragioni. La prima è economica, attiva e passiva. Le Cantine sono società più strutturate e ricche del ristorante a gestione familiare, quindi hanno un leverage di marketing più importante, supportato anche dalla politica europea. Inoltre le guide ai vini si scrivono assaggiando i campioni inviati dalle aziende, mentre le visite ai ristoranti – indispensabili per una valutazione consapevole –  hanno un costo maggiore. Non è tutto legato ai soldi, ci sono anche ragioni strutturali.
Le guide ai vini paiono più dinamiche, ogni anno c’è un’annata nuova da recensire. Aspetto questo che alimenta il fenomeno delle classifiche, ormai quotidiano e figlio di un’idea di marketing più che elementare, ma che pur si coniuga con la velocità (e superficialità) dell’informazione di oggi. A elevare la critica del vino c’è anche un suo linguaggio tecnico che argina seppur in parte gli aspiranti esperti dove invece a dir la propria sulla cucina si sentono tutti autorizzati. Ma mentre la critica ai ristoranti è questione quasi del tutto italica, quella ai vini si deve confrontare con quella estera, con testate più potenti per dimensione e autorevolezza come Wine Spectator, Rober Parker, Decanter. Uno stimolo e un’opportunità di confronto enormi che mancano alla ristorazione per uscire dal pantano dell’autoreferenzialità.

Foto di apertura: la crisi delle guide in Italia riguarda soprattutto quelle dei ristoranti, mentre quelle enologiche sono più vitali © B. Jordan – Unsplash

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