Come garantirci un futuro?

Come garantirci un futuro?

(Anteprima, da Civiltà del bere, novembre-dicembre 2012, domani in edicola). Il 2012 si prospetta un anno molto interessante, e complicato. Assisteremo forse a un ulteriore e decisivo tsunami nell’oceano del vino italiano, da tutti i punti di vista: nel vigneto, nella produzione, nel marketing. Anticipiamo le nostre modeste conclusioni e in estrema sintesi riteniamo che reggeranno discretamente il colpo le imprese che devono il proprio successo anche alla diffusione internazionale di etichette di alta qualità. Le altre, che rappresentano la base del nostro sistema, dovrebbero cambiare la rotta, onde evitare d’essere travolte.
Le nostre idee nascono da osservazioni che intrecciano fatti quotidiani a politiche settoriali. Ad esempio, sullo scaffale di una rinomata catena italiana di supermercati abbiamo appena acquistato, per un test, due vini che impongono una riflessione. Uno appartiene a una nota Denominazione d’origine veneta e ci è costato in promozione 1,86 euro. Il packaging è semplice, ma discreto, i profumi corrispondono alle caratteristiche tipiche della denominazione: freschi e piacevoli. Al palato è equilibrato con un finale persistente. È un vino convincente. Degustato alla cieca, è stato valutato dai nostri esperti nella fascia di prezzo tra gli 8 e i 10 euro.
L’altro vino, sempre in promozione, è un Vin de Pays d’Oc 2010, una Indication géographique protégée, equivalente alla nostra Igt. Proviene dagli altipiani della Valle dell’Hérault, Liguadoca-Rossiglione nel sud della Francia. Costa 3,49 euro. È un rosso di 14 gradi, la bottiglia è elegante, massiccia, e l’etichetta pregevole. Sulla retroetichetta è scritto che la raccolta delle uve è manuale e che il vino “viene amorevolmente educato in barrique”. A vederlo su uno scaffale “dimostrerebbe” almeno 15 euro. E anche a berlo! Alla cieca lo abbiamo collocato tra i 15 e i 18 euro, nella fascia dei rossi giovani, ma buoni: al naso è complesso, con note di ciliegia e piccoli frutti rossi che si legano a sentori balsamici, di spezie dolci e vaniglia; al palato è fruttato, rotondo, con tannini dolci, equilibrato e persistente.
Riflettiamo dunque sul fattore “marketing”. Il consumatore italiano, già in crisi di portafoglio, che segnali riceve da questi vini? Resterà confuso, non c’è alcuna coerenza tra prezzo, posizionamento sullo scaffale, packaging, qualità del prodotto. Il discorso proiettato sui grandi numeri e moltiplicato per i mercati di destinazione si complica esponenzialmente.
Il quadro interno, dunque, è molto critico, specialmente se si intrecciano il marketing alle questioni strettamente produttive e agricole cioè quelle che riguardano il costo di una bottiglia, i prezzi in aumento delle uve e dei vini, a causa di una vendemmia scarsa e degli effetti dell’Organizzazione comune di mercato (Ocm). Quest’ultima, incentivando gli espianti, ha quale obbiettivo la riduzione degli ettolitri di vino prodotti. L’Italia enologica rischia l’asfissia a causa del calo dei consumi e dei problemi legati alla filiera, comprese le citate promozioni, che falciano erba sotto i piedi di enoteche e ristoranti, i quali risultano poco credibili agli occhi di troppi consumatori.
L’export, che da anni ormai sostiene il nostro settore, corre forti rischi, poiché alla crisi si affiancano i già citati effetti dell’Ocm, che eleva i prezzi all’origine, rendendo (a tutti gli europei, per la verità) la competizione più ardua rispetto all’offerta di buona qualità e prezzo basso di molti Paesi del cosiddetto Nuovo Mondo.
Tornando all’esempio quotidiano, del nostro supermercato, se possiamo permetterci di proporre bianchi Doc di tal fatta a quei prezzi, forse possiamo anche spuntarla sulla piazza mondiale, ma a fronte di una riduzione dei margini che solo i colossi, spesso Cooperative, possono permettersi. Dunque, nella competizione, si salverebbero davvero pochi e conquisteremmo primati, come vediamo accadere spesso, più per volume che per valore.
Continuiamo a pensare che l’unica via per assicurare il futuro al vino italiano sia l’alta qualità di prodotto (totale), unita a un’immagine brillante e riconosciuta, basata su forti messaggi territoriali, poiché l’Italia stessa – umana, geografica e storica – è il fattore competitivo. Per tutelare il sistema, e non giocare al ribasso sui prezzi, è necessario un gioco di squadra da parte dei protagonisti della filiera, ma in quest’ottica è ancora più importante la politica di comunicazione e di promozione. Una politica che a livello nazionale non c’è. In certi casi non c’è neppure a livello regionale. Talvolta manca persino a livello locale e consortile. Invece, sarebbe una bella scialuppa di salvataggio, soprattutto per i meno potenti. Dai primi dati emersi riguardo ai finanziamenti collegati all’Ocm, risulta che il massimo delle risorse è stato utilizzato da Consorzi e Ati (Associazione temporanea di impresa). Questi hanno agito direttamente oppure mediante la partecipazione a fiere e mostre nazionali o internazionali. In ogni modo, se li consideriamo i motori di un meccanismo collettivo che crea valore per il sistema Italia, è un bene che si siano avviati a pieno regime. Saremmo in pericolo, se il gioco fosse quello di promuovere solo se stessi, con la tecnica italica di denigrare il concorrente, magari il vicino di vigna, pur di vendere dieci cartoni in più. Con Ati si vola, parafrasando una vecchia réclame. Approfittiamone per creare valore e rafforzare tutto il sistema.

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© Riproduzione riservata - 09/11/2011

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