L’ambizioso progetto dell’imprenditore Michel Oberhammer ha rinnovato profondamente la proposta culinaria dello storico rifugio. Lo chef Federico Rovacchi punta sulla rivisitazione dei grandi classici in chiave personale e contemporanea. La carta dei vini, curatissima, supera le 600 referenze
Guardare oltre la montagna e la sua cucina tradizionale, proponendo pietanze ricercate e concrete, che rielaborano i grandi classici italiani e internazionali in un’atmosfera rilassata ed elegantemente conviviale. È ciò che sta facendo da ormai qualche anno il ristorante Baita Piè Tofana, storico rifugio a 1.700 metri di quota situato proprio accanto all’omonima seggiovia che conduce a uno dei più maestosi gruppi delle Dolomiti ampezzane, Le Tofane appunto.
Il rinnovo nel 2019
Nato a metà del secolo scorso come riparo per i cronometristi delle Olimpiadi del 1956, nel 2019 il locale è stato rilevato e profondamente rinnovato dall’imprenditore Michel Oberhammer – già attivo a Cortina d’Ampezzo con l’enoteca e società di distribuzione vini La Cave – con il prezioso supporto dello chef Federico Rovacchi e della maître Elisa Prudente. Un restyling ambizioso e curato nei particolari, che ha mantenuto l’essenza e la convivialità della vecchia struttura, scenograficamente simboleggiata dal larin, il caratteristico focolare aperto su tre lati. A dare calore alle pareti ci pensa la tradizionale boiserie, mentre gli arredi e i soprammobili giocano su colori materici e linee essenziali.

La filosofia dello chef
Lo chef Federico Rovacchi, classe 1992 e origini emiliane, si è fatto le ossa nelle cucine stellate del Piazza Duomo di Enrico Crippa e del St. Hubertus di Norbert Niederkofler, dove è rimasto per sei anni facendo sua la filosofia del maestro altoatesino, per poi ricalibrarla secondo la sua personale visione di cucina d’autore contemporanea. Un’impostazione che va oltre il territorio per abbracciare materie prime non necessariamente locali, tecniche di cottura francesi, tagli e lavorazioni di ispirazione nipponica. Come per Niederkofler, anche per Rovacchi l’elemento vegetale gioca un ruolo da comprimario quando non da protagonista. Ortaggi, radici e germogli hanno la stessa importanza delle proteine. Si pratica il foraging, ovvero la raccolta delle erbe spontanee e delle piante aromatiche che, insieme alle verdure raccolte direttamente dall’orto di proprietà, gestito dall’azienda agricola Borgo Dus tra il Piave e il Montello, contribuiscono ad esaltare la stagionalità dei piatti.






I piatti simbolo
Tra i signature dish ci sono le Lumache, preparate è à la bourguignonne, sfumate tre volte nel Riesling e servite su una crema di patate, topinambur e tartufo nero, olio di aglio orsino, schiuma di kefir e una spruzzata di whisky torbato direttamente al tavolo. Colpisce per la sua ricchezza di sfumature aromatiche, che richiama ora le note terrose ora quelle fresche e minerali, a cui si unisce una bella rotondità e un’intensità avvolgente.
L’omaggio ai natali emiliani dello chef è evidente nel Cappelletto di Parmigiano. La farcitura della pasta prevede due stagionature del formaggio: una più giovane di 12 mesi e una di 70 mesi, che si controbilanciano. Il doppio brodo di cappone è aromatizzato alla verbena e finito con gocce di mostarda. Un primo piatto erbaceo, piccante e dolce insieme.
Vietato chiedere il conto senza prima aver ordinato la Brazorà & Zabaione. Si tratta di una focaccia dolce tipica di Cortina che il ristorante propone come una brioche sfogliata preparata con burro al sambuco e laccata al sambuco. Viene spezzata al tavolo dai commensali come segno di convivialità, prima di essere tuffata nello zabaione.

Una carta dei vini ricca accurata
Il patron Michel Oberhammer ha alle spalle una lunga esperienza nel mondo enologico e la carta dei vini lo dimostra. Le oltre 600 etichette sono il frutto di una selezione certosina dei vini della distribuzione La Cave, da lui fondata nel 2009. Italia, Francia, Germania, Austria, Armenia, Sudafrica, Australia, Usa, Argentina, Israele, ma anche Romania, Serbia, Croazia e Slovenia: sono tante le nazioni vitivinicole contemplate dalla wine list per offrire una ricca panoramica di varietà, produttori e tipologie, con una buona disponibilità di grandi formati. Chi vuole i grandi nomi (da Cheval Blanc a Masseto passando per Opus One e Vega Sicilia) ha l’imbarazzo della scelta, ma c’è spazio anche per realtà più piccole e meno blasonate. Bella la ricerca sui macerati, ampia la gamma di Bordeaux, Borgogna e Champagne, che include anche l’ormai introvabile Marie-Noëlle Ledrou e il mitico Salon. Sfogliando la lista dei bianchi più interessanti per rapporto qualità prezzo troviamo la Ribolla Gialla 2023 di Gradis’ciutta a 40 euro e il Vecchie Vigne Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2020 di Umani Ronchi a 42 euro. Tra i rossi, il Poggio Pini Rossese di Dolceacqua Superiore Doc 2020 di Tenuta Anfosso a 48 euro e il Filari di Mazon Pinot nero Alto Adige Doc 2021 di Ferruccio Carlotto a 40 euro.