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Giovani produttori. Didier Gerbelle, lo sperimentatore valdostano

1 Febbraio 2016 Jessica Bordoni
Quando si dice avere le idee chiare. Didier Gerbelle è nato ad Aosta 30 anni fa, il 3 agosto 1986, e già da piccolo voleva fare il viticoltore. La sua famiglia possedeva alcuni appezzamenti nei comuni di Aymavilles e Villeneuve e conferiva le uve alle Cantine sociali della zona. Ma a lui non bastava: sognava di dare vita a un’azienda tutta sua, seguendo l’intero ciclo di produzione dalla vigna alla bottiglia.

Aosta, Alba e finalmente in vigna

Così si iscrive all’Institut agricole d’Aoste, dove frequenta i primi due anni. Nel triennio passa all’Istituto tecnico Umberto I di Alba, in Piemonte, che gli garantisce una specializzazione in ambito vitivinicolo ed enologico. L’impegno non è poco, la strada è tanta, ma Didier sa che è quella giusta e che, dopo la maturità, potrà dare inizio all’attività. La prima vendemmia, infatti, coincide con la fine degli studi, nel 2006.

Al centro gli autoctoni Valle d'Aosta Doc

«All’inizio le bottiglie erano 10 mila, oggi sono raddoppiate. Detto questo, continuo a gestire tutto internamente con l’aiuto dei miei familiari, senza dipendenti o consulenti. L’iter di produzione è delicato: preferisco non delegare a nessuno sia in vigna che in cantina». In gamma ci sono vini bianchi, ma soprattutto rossi, con una speciale attenzione ai vitigni autoctoni della Valle d'Aosta. Le varietà di riferimento sono Petit Rouge, Cornalin, Fumin, Premetta, Moscato bianco, Pinot grigio e Gewürztraminer. Complessivamente una decina di etichette (tra cui due vini dolci), tutte riconosciute dalla Doc regionale Valle D’Aosta.

Il recupero dell’antico autoctono Neret

Didier Gerbelle è un grande sperimentatore e già nel 2007 - l’anno successivo alla fondazione della Casa vinicola - avvia un ambizioso progetto di riscoperta e recupero del Neret, un antico vitigno menzionato in Valle d’Aosta già nel 1587 e poi di fatto scomparso con l’invasione della fillossera a fine Ottocento. «Tra le cause del suo declino c’è sicuramente anche la notevole confusione identitaria legata al nome. Il nome Neyret o Neretto, ma anche Neret, Neyret, identifica, infatti, una grande famiglia di vitigni diffusi tra il Piemonte e la Valle d’Aosta. Grazie alle ricerche varietali dell’agronomo valdostano Rudy Sandi, siamo finalmente riusciti a isolare la varietà all’interno della proprietà di un anziano vigneron».

Il Neret è una cultivar autenticamente locale

«Le analisi ampelografiche condotte da Sandi e dall’ampelografo Giulio Moriondo», prosegue Dider Gerbelle, «hanno certificato che si trattava proprio dell’antico Neret valdostano. Il genetista José Vouillamoz ha poi stabilito che il vitigno ha un genotipo unico con una parentela di primo grado (padre-figlio) con il Rouge du Valais, varietà oggi diffusa solo nel Vallese svizzero, ma di origine sicuramente valdostana, geneticamente figlia degli autoctoni Petit Rouge e Mayolet. Insomma, gli studi hanno provato che si tratta di una cultivar autenticamente locale, diversa dai Neretti del Piemonte».

Nel 2015 le prime 950 bottiglie di Neret

A partire dal 2007, Didier Gerbelle effettua numerose selezioni clonali e microvinificazioni. Nel 2015 esce la prima etichetta del Neret, targata 2013. È in assoluto la prima produzione (950 bottiglie) da Neret valdostano a distanza di almeno un secolo. «Dopo due vendemmie affinate in barrique, l’anno scorso ho deciso di cimentarmi con l’anfora e una macerazione di ben 60 giorni sulle bucce». Ma la ricerca di Didier è solo all’inizio: «Parallelamente al Neret, prosegue il lavoro sugli antichi autoctoni bianchi e spero di uscire a breve con altre due novità assolute. È ancora troppo presto per parlarne, aspetto che si siano i risultati».

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