Era il 1985 quando Valneo Livon si innamorò di una sinuosa illustrazione femminile firmata dal padre dell’Art Déco e decise di acquisirne i diritti per usarla come logo aziendale. Come in tutte le grandi storie, non è mancato uno “scandalo”, per fortuna a lieto fine
Per Livon il 2024 è stato l’anno del 60° dalla fondazione della Cantina. Nel 2025 i festeggiamenti continuano all’insegna del binomio vino-arte, da sempre al centro della produzione aziendale a partire dal logo: la celebre Donna alata del maestro Erté che da 40 anni esatti firma inconfondibilmente ogni bottiglia aziendale.
Alle origini della storia
«Sono quattro decadi che la Donna alata di Erté personalizza la nostra produzione, offrendo al degustatore un momento di eccellenza e buon bere, e aprendo anche una finestra dialettica sul mondo dell’arte e il suo affascinante rapporto con l’enologia», sintetizza Matteo Livon, terza generazione alla guida del Gruppo friulano, che in anni più recenti ha allargato il suo raggio d’azione dal Friuli alla Toscana con Borgo Salcetino e all’Umbria con Fattoria Colsanto.
Ma com’è nata questa prestigiosa collaborazione? «Mio padre Valneo, appassionato di arte, nel 1985 scorrendo le pagine di un libro incontra per la prima volta la collezione di illustrazioni “Numerals Suite” realizzate dal leggendario e poliedrico padre dell’Art Déco Erté, pseudonimo di Romain de Tirtoff, prestigioso illustratore per l’iconico magazine statunitense Harper’s Bazaar».
La numero 5 e la C di Collio
La collezione “The Numerals Suite” includeva una serie di litografie degli anni Trenta in cui Erté esplorava le potenzialità stilistiche dell’accostamento tra arte e moda, decorazione e simbolismo. «Le protagoniste erano prevalentemente figure femminili stilizzate, associate a numeri da 0 a 9. Ogni donna, nella sua posa sinuosa, evocava l’eleganza, l’esotismo e la raffinatezza degli ambienti di moda dell’epoca». L’attenzione di Valneo Livon viene catturata in particolare dal “Numero 5”, una figura sensuale che richiama le immagini di Sirena, Araba fenice e Donna alata. «Nel dettaglio della coda della figura femminile si celava la “C”, che per noi rappresentava un chiaro richiamo e omaggio al Collio. Così, dopo aver acquisito i diritti d’autore, abbiamo deciso di personalizzare l’opera capovolgendo a specchio il numero di Erté per evidenziarne la figura della Donna alata».
La censura del Batfe statunitense
Questo logo così affascinante ha coinvolto Livon in fatti di cronaca che hanno avuto una certa risonanza anche a livello internazionale. «Mi riferisco in particolare allo “scandalo” a lieto fine che dal ‘86 al ‘96 ha interessato la Siena Imports di San Francisco e l’Batfe, ovvero il Bureau of alcohol, tobacco, firearms and explosives per la prevenzione del crimine legato all’alcool, al tabacco, alle armi da fuoco e agli esplosivi. Una controversia finita in giornali di spicco e riviste del settore come The Wine Spectator, Wall Street Journal, Usa Today e, su scala italiana, Il Gazzettino del Friuli, Il Giornale, La Stampa, Civiltà del bere, solo per citarne alcuni…».
Ecco qualche titolo che aiuta ad inquadrare la vicenda: “Un seno ferma il vino italiano” (La Stampa, 20/11/1987); “So, people partying with Bacchus could be another problem area” (The Wall Street Journal, 12/06/1993); “Piallati i seni alla donnina del Picolit” (Il Giornale, 21/11/1987).
La risoluzione dello scandalo
«Protagoniste della vicenda erano 4.000 bottiglie aziendali, tra cru e selezioni Collio, “colpevoli” di indossare un’irrepetibile opera d’arte come etichetta, appunto la Donna alata del maestro Erté», ricorda Matteo Livon. «I federali avevano respinto e censurato le etichette perché ritenute impudiche e pornografiche a causa delle nudità esplicite della figura femminile… Inutile dire che il clima di tensione causato dalla censura generò varie proteste sia da parte del nostro importatore, che si era visto bloccare un capitale destinato al suo commercio, e destò non poche preoccupazioni anche a noi in azienda, perché il fatto ostacolava la possibilità di inserirci nel mercato statunitense». Fortunatamente, una buona dose di tenacia e un quanto mai rapido “restyling” della figura di Erté volto a nascondere le nudità fino alla caduta della censura federale permisero di superare l’impasse senza troppi danni. E, a distanza di 40 anni esatti dalla creazione del logo, la famiglia Livon, ricorda la vicenda con il sorriso sulle labbra.