50 anni di Civiltà del bere. Protagonisti per una volta ancora
“Protagonisti per una volta” s’intitolava l’editoriale a firma Pino Khail del gennaio 1984. Civiltà del bere compiva 10 anni, un decennio che aveva aperto una strada del tutto nuova per il vino italiano, di difesa e promozione della qualità, in un’epoca in cui in trattoria si domandava “bianco o rosso”? Il resto è storia: lo scandalo del metanolo nel 1986 e quello scatto d’orgoglio che negli anni Novanta portò al “Rinascimento” del vino italiano e poi alla sua consacrazione nel mondo, anche grazie all’intuizione (dell’Istituto Commercio Estero con Civiltà del bere) di portare sui principali mercati esteri il “dream team” dell’enologia tricolore. Per la prima volta i protagonisti del vino di qualità, alcuni dei quali non si erano nemmeno mai incontrati, insieme promuovevano il made in Italy.
Mezzo secolo di vino italiano
Oggi, 10 gennaio 2024, Civiltà del bere compie 50 anni. Mezzo secolo di storia del vino, un’era geologica nel tempo veloce in cui viviamo mordendo i giorni voracemente, spinti dall’accelerazione tecnologica per cui, tanto per dire, quando il sottoscritto faceva il praticante, all’ombra di Pino Khail (direttore) e Bruno Donati (caporedattore), batteva ancora i tasti di una macchina per scrivere Olivetti verde marcio e prendeva appunti su bloc-notes stenografici dai colori sgargianti.
La prima rivista enologica indipendente
Per una fortuita coincidenza, Civiltà del bere è la rivista che ha seguito in tempo reale la nascita e lo sviluppo del vino italiano di pregio. I nostri giornalisti hanno sempre agito da cronisti, più che da critici enologici, riuscendo comunque, in alcuni momenti delicati, ad influire (pensiamo positivamente) sull’andamento del settore: prima rivista enologica italiana ad andare in edicola, prima rivista indipendente (cioè non l’organo di un’associazione o di un sindacato) e prima ad essere fondata e scritta da professionisti.
Questa libertà ha avuto talvolta un prezzo, “molto caro, che bisogna essere psicologicamente disposti a pagare. E soprattutto bisogna essere in grado di sopravvivere dopo averlo fatto”. Così scriveva Pino Khail nel suo editoriale del gennaio 1984. Parole che oggi riscriveremmo identiche, avendo vissuto questa profezia sulla nostra pelle. Lusinghe, minacce, ritorsioni, clienti perduti per un commento o una posizione sgradita. Eppure, resistere e tenere la schiena dritta dà una soddisfazione enorme, al professionista, ma soprattutto mantiene il bene più prezioso di una testata: l’autorevolezza.
Come cambia la comunicazione
Abbiamo sempre seguito in primis le regole del mestiere: documentare, informare e anche criticare, prendere posizioni libere – quindi sgradite a qualcuno – dettate dalla nostra sensibilità – a volte parziali, certamente – ma nel rispetto del settore, di tutti coloro che vivono nel mondo del vino e di coloro che lo apprezzano e lo consumano come prodotto non solo edonistico, ma anche culturale. Cambiamo gli strumenti, oggi ci si trova più spesso sugli schermi dei notebook o degli smartphone che sulle pagine di carta, che comunque manteniamo tenacemente (con un buon riscontro di gradimento, ancora), ma Civiltà del bere negli anni Venti del Duemila dimostra – affermiamo con un tocco d’orgoglio – che una testata storica può essere un luogo di comunicazione più che uno strumento.
A prescindere dalla tecnologia che veicola il messaggio, è la squadra dei professionisti che vi lavora quotidianamente a rendere speciale questo luogo, lo stile di comunicazione a renderlo appetibile per i tanti che vi si riconoscono, dai produttori vinicoli ai professionisti agli appassionati della materia. Ed è di questo che siamo orgogliosi e salutiamo i 50 anni, parafrasando Khail, “protagonisti per una volta”. Onoreremo questo cinquantesimo compleanno con quattro numeri speciali, ciascuno con riflessi del passato e visioni del futuro, con i nostri eventi (pochi, ma ormai di solida reputazione e riconosciuta efficacia) Simply the best a Milano e VinoVip a Cortina sotto il segno del 50° ovvero impreziositi per aggiungere un tocco di celebrazione, ma senza esagerare. La nostra prassi, infatti, non è quella degli spettacoli pirotecnici, ma del quotidiano esercizio della professionalità, seri ma non seriosi, sostenuti dalla passione del vino nelle sue numerose sfumature di racconto.
Per finire, un tuffo nel passato per capire il presente
Nei prossimi mesi, accompagneremo le cronache e le prospettive del mondo vinicolo con proposte d’archivio, brani di storia ormai, che ci aiuteranno a comprendere meglio 50 anni di cambiamenti, per ricordare da dove viene questa nostra preziosa rivista e per interpretare questo complesso presente, molto più complesso di una volta.
All’epoca in Italia c’erano Soldati e Veronelli, qualche decina di etichette pregiate, le prime quasi proverbiali Doc. Oggi una decina di Guide nazionali recensisce migliaia di vini “eccellenti”; si contano 337 Doc, 77 Docg, 118 Igt (dati Federdoc, 2023), centinaia di influencer raccontano le proprie esperienze, la comunicazione del vino è esplosa. Potremmo quindi sentirci sopraffatti e gettare la spugna, a 50 anni, per overdose di parole e devastazione delle autorità in materia (per un processo alimentato anche dal mondo digitale, come spiega bene Alessandro Baricco nel suo saggio “The Game”), ma non è così. È nel caos che si cerca qualche certezza. Il nostro orgoglio e la nostra fatica, ampiamente ripagate, sono impegnarci quotidianamente per meritarci la fiducia dei lettori, nel mantenere sicuro e piacevole questo luogo chiamato Civiltà del bere.
© Riproduzione riservata - 10/01/2024