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La nuova poesia. 5 vini vulcanici da provare

La nuova poesia. 5 vini vulcanici da provare

Quello dei vini da suoli vulcanici è un universo affascinante e complesso che è stato molto dibattuto – a ragione – da qualche anno a questa parte. Solo negli ultimi tempi è stato trattato con rigore scientifico e ciò ha condotto a evidenze tanto insospettate quanto intriganti.

Ne abbiamo parlato lunedì 6 novembre, durante i Wine Days di Civiltà del bere al Museo dei Navigli di Milano, con cinque esempi italiani di vini vulcanici da provare.

Anche la monografia di Civiltà del bere 5/2017 è dedicata ai vini vulcanici: leggi qui (oppure acquista la tua copia cartacea o digitale)

C’è magma e magma

I terreni vulcanici hanno genesi eterogenee. Le manifestazioni di tipo esplosivo producono ceneri e pomici che, essendo leggere, non si accumulano lungo le pendici del vulcano. I suoli che così formano sono profondi, leggeri, astrutturati, poveri di sostanza organica, con presenza di scheletro che deriva da lapilli e “bombe”. Nel tempo possono consolidarsi e dare origine ai tufi. Questi degradano in suoli sabbiosi, grossolani e minerali. Dalle colate di lava raffreddate derivano invece terreni più scuri e superficiali, ricchi di argilla. Il costituente principale dei magmi è la silice. Poi ossido di alluminio, di magnesio, di ferro, sodio, potassio. Nel caso dell’attività effusiva subacquea pressione e temperatura riducono la fase esplosiva. Il raffreddamento è brusco e la superficie di contatto del magma con l’acqua è vetrosa. Questo strato vetroso si trasforma in un materiale giallastro, argilloso, ricco di ossidi di ferro e basalto presente in molte zone vulcaniche.

Una complessità geologica introvabile altrove

Le diverse tipologie di terreni vulcanici vanno a condizionare la vite in tutti i suoi aspetti e a distinguere le caratteristiche dei vini che ne derivano. Tali differenziazioni geologiche vanno ricercate nella struttura fisica, dai più leggeri (come quelli costituiti dalla pomice dell’isola di Salina), ai più pesanti e argillosi dei Lessini e di Soave, ai tufi di Montefiascone e alle sabbie di Frascati. Nella reazione: da quelli basici derivati dalla degradazione dei basalti, a quelli neutri e subacidi costituiti da porfidi e graniti (come a Terlano e in Gallura). Da quelli ricchi di scheletro dell’Etna, alle ceneri dei vigneti del Vesuvio. Nella composizione chimica: più o meno potassio e altri microelementi.

Vini vulcanici con una marcia in più

Nessun altro suolo ha una tale ricchezza di minerali. In questi anni, anche per lo sviluppo di sofisticate tecniche, si sono moltiplicate le ricerche sul ruolo del terreno sulle caratteristiche chimiche e sensoriali. È risultato che, a parità di ogni altro fattore, a partire dal vitigno, i vini risultanti dai diversi tipi di suoli vulcanici hanno una “marcia” in più da un punto di vista sensoriale, con note di frutta tropicale, ricordi sulfurei, di pietra focaia e idrocarburi.

Bertani e il suo Soave “d’antan

Primo vino in degustazione, il Soave Doc Vintage Edition di Bertani 2015 è il frutto del riuscito tentativo di recuperare il profilo sensoriale dei Soave d’antan, come spiegato dal direttore tecnico della cantina, Andrea Lonardi. A parte la cura in vigna della Garganega, allevata a pergola veronese, la grande intuizione sta nel protocollo enologico adottato. Il 40% delle uve viene raccolto nella terza decade di settembre, il resto subisce una vendemmia tardiva per poi essere fermentata in rosso per 15 giorni a  20°C. Il tutto affina poi a lungo in vasche di cemento vetrificate. Il risultato è un vino dal grande impatto olfattivo, di fiori bianchi, pesche, albicocche e uva spina, con una ancora sottile mineralità che si esaltarà negli anni. In bocca le sensazioni sono ancor più originali: avvolgente, grasso, ma con una vibrante spina acida, dal finale sapido, lunghissimo, quasi abboccato, come nella tradizione dei Soave d’altri tempi.

Quel Fior d’Arancio che non t’aspetti, ma (o perciò) capace d’eccitare

Rimanendo in Veneto, è la volta del Fior d’Arancio Colli Euganei Docg 2016. Secco. La denominazione è conosciuta soprattutto per passiti e bollicine dolci ma il disciplinare prevede anche la tipologia “asciutta” che pochi hanno il coraggio tecnico e di mercato di approcciare. Non è il caso di Elisa Dilavanzo, patron di Maeli, che crede nell’assenza di zuccheri per esaltare il rapporto tra l’aromatico Moscato Giallo e la complessità apportata dalla lava basaltica degli Euganei. La sintesi fra corredo terpenico del vitigno, suoli, basse rese produttive, un processo di criomacerazione svolto in due stadi di lavorazione conduce a un vino originale, che spiazza. Identitario il corredo olfattivo, con intensi aromi di zagara, pesca, scorza di agrumi e erbe secche aromatiche. Assai più insolito il sorso: ricco di polpa, con un calibrato calore alcolico, ha una vibrante acidità sapido-minerale. Il finale è lungo e del tutto secco ma per nulla amaro.

Annata minore? Per il Nerello è un atout che esalta l’identitarietà

Il Contrada “C” Chiappamacine, Terre Siciliane Igt 2015, 100% Nerello Mascalese, nonostante la complessità dell’annata, confermata dallo stesso Andrea Franchetti, non tradisce affatto le aspettative. Viceversa il suo corredo organolettico esprime l’espressività dei suoli lavici etnei. Nasce da vigne novantenni, dense 8.000 ceppi/ettaro, a 550 m slm, trattate con i principi della biodinamica. Dopo la vinificazione in acciaio invecchia in botti grandi di rovere. La colorazione è più tenue del consueto. Il profilo odoroso è affascinante con note di sottobosco, funghi secchi, grafite, supportato da un frutto rinfrescante e austero, con note di amarene e lamponi. Il sorso è agile ma incisivo, con una trama tannica marcata e pimpante e una straordinaria e rinfrescante acidità minerale. Il tenore alcolico non esuberante rende questo nettare particolarmente armonico, forse meno longevo ma di bevibilità superiore agli omologhi vini figli delle cosiddette grandi annate.

Dal Vulture un’annata straordinaria

Figlio di un’annata straordinaria, questo Serpara, Aglianico del Vulture Superiore Docg 2011 di Terre degli Svevi, che inaugura la nuova “Garantita” lucana, è tra le più iconiche espressioni che questo antico territorio vulcanico è capace di offrire. Piogge primaverili e calore estivo, unitamente ai suoli di origine capaci di trattenere a lungo il calore, rilasciandolo gradualmente, hanno consentito una perfetta maturazione dell’Aglianico, tra i vitigni più tardivi del panorama ampelografico mondiale.

24 mesi di legno per l’Aglianico Serpara

Nasce da vigne dimoranti in Maschito, unofficial gran cru del Vulture, a 600 m slm e allevate a Guyot. Solo a inizio novembre le uve hanno raggiunto la piena maturazione, fondamentale perché questa antica cultivar possa offrire il meglio di sé. Dopo una vinificazione spontanea con macerazione di due settimane, il vino è stato posto ad affinare per ben 24 mesi in barrique di rovere francese. Un tempo di maturazione che può apparire finanche esagerato, ma indispensabile per domare l’esuberanza dei rossi del Vulture. Il risultato? Un nettare dal colore intenso e brillante, dotato di un sorprendente bagaglio olfattivo, potente, complesso ed elegante al contempo, ricco di frutti rossi sotto spirito e prugne secche, ma soprattutto retto da ricordi terziari di invidiabile fascino: spezie (cannella), ricordi tostati (cacao e moka), sentori minerali di grafite e ricordi di sottobosco e terriccio.

Una Malvasia delle Lipari di (a)tipico fascino

Titolo solo in apparenza ossimorico, ma facilmente spiegabile. Questa Malvasia 2016 da Tenuta Capofaro di Tasca d’Almerita è un curioso e intrigante “Giano bifronte”. Da uve provenienti da vigne ubicate in Salina, nell’arcipelago delle Lipari. I suoli sono tipicamente sabbioso-vulcanici (pertanto originati da fenomeni esplosivi e non da colate laviche) e infondono finezza ed eleganza, esposte a nord-est per proteggerle dal sole cocente e dai venti caldi provenienti da sud. Sono dense 5.000 ceppi/ha, allevate a Guyot e dalle rese irrisorie (54 quintali di uva/ha). La vinificazione è in acciaio per non turbare la delicata espressività del rapporto vitigno-suolo, con una fermentazione che si protrae per ben 25 giorni. Si genera difatti un vino dal doppio risvolto organolettico.

Un appassimento originale

Se da un lato emergono parte delle sensazioni tipiche della Malvasia delle Lipari, legate a ricordi di agrumi canditi, albicocche disidratate, bacche di vaniglia, cioccolato bianco, è viceversa assente una componente che si trova in molti omologhi, legata alla macchia mediterranea e alle erbe aromatiche. Ciò è dovuto – ci viene spiegato – alla particolare scelta aziendale di non appassire le uve direttamente al sole, bensì attraverso una loro lenta disidratazione in ambiente protetto, su graticci, proprio come si fa con i grandi classici passiti del settentrione. Il gusto è sostanzioso ma non eccessivamente grasso, dalla spiccata ma non soverchiante dolcezza. Il tutto armonizzato da un’acidità non esagerata ma più che sufficiente a garantire una grande piacevolezza gustativa. Questo grazie anche alla scelta di non svolgere la malolattica. Insomma, una Malvasia tipica ma originale al tempo stesso.

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© Riproduzione riservata - 10/11/2017

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