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Molinara, “l’uva salata” rinasce in versione rosé

Molinara, “l’uva salata” rinasce in versione rosé

La Molinara è diffusa un po’ in tutto il Veronese. Il suo nome deriva dal dialettale mulinare (da mulino), per via dell’abbondante pruina che ricopre la buccia dei suoi acini, da farli sembrare spolverati di farina.

La Molinara è definita anche Ua Salà (uva salata) per il peculiare equilibrio che, senza fare esaltare acidità e tannini, finisce per sottolinearne la sapidità. La sua fragranza e trasparenza di colore, nel tempo, hanno finito per costituire un limite. Fino alla quasi completa eliminazione della Molinara dagli uvaggi di Bardolino, Valpolicella e soprattutto Amarone, a vantaggio di bacche foriere di nettari dalla maggior concentrazione. Per fortuna in questi ultimi anni si assiste a un ritorno di fiamma verso vini più beverini e non per forza troppo robusti e profondi, e la Molinara vitata in collina (è qui che dà il meglio di sé) sta gradualmente tornando ad avere un suo ruolo.

Grappolo di Molinara

Il coraggio di Carlo Boscaini, che la vinifica in purezza

Di maturazione medio-tardiva, favorita da forme di allevamento espanse come la pergola veronese, è rarissimamente vinificata in purezza. Una delle poche eccezioni è costituita dalla Molinara Veronese Igt prodotta dall’azienda Boscaini Carlo di Sant’Ambrogio di Valpolicella (Verona). Spiega Carlo: «Abbiamo cominciato a produrre questo vino 9 anni fa, pur conoscendo i limiti di mercato dei vini che derivano da tale varietà: poco colore, scarsa struttura, generosi di acidità. Eravamo consci di andare controcorrente, in un periodo in cui molti nostri colleghi la stavano pressoché eliminando».

I fratelli Carlo e Mario Boscaini

Un rosato difficile da realizzare

Ma ecco il perché di tale scelta: «Nei vigneti nuovi non piantiamo più la Molinara, ma in quelli vecchi (di 40-60 anni) ne abbiamo ancora. Io e mio fratello Mario abbiamo così deciso di cimentarci nella produzione di questo particolare nettare. Produrre vini rossi di struttura non è tecnicamente complicato. Ben più difficile è produrre un vino rosato e mantenerne i colori, i profumi, la freschezza. Un prodotto che deve essere pronto per la primavera, dalla fermentazione pilotata che deve condurre a una desiderata e costante colorazione, ma anche capace di mantenersi integro per qualche anno. Queste è stata la sfida che abbiamo voluto raccogliere, e che crediamo di aver vinto. La produzione è ovviamente molto limitata, solo 1.000 bottiglie, anche perché il mercato non sempre comprende questo nostro prodotto».

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© Riproduzione riservata - 13/01/2019

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