Voglio uno scandalo
Sarà l’estate e la voglia di aria fresca, sarà che ci sembra di vivere in una sorta di tempo immobile, in cui si ripetono certe litanie per allontanare l’inevitabile ondata del grande cambiamento, ma sarebbe forse utile che si tornasse ad accendere il cuore, a proporre idee e soluzioni non strategiche, non accomodanti, non sonnacchiose. L’idea è venuta osservando i dati di mercato, sui consumi interni e sui cambiamenti dei gusti degli appassionati, sull’export, che in fondo continua a sostenere le nostre imprese e alimenta le speranze di centinaia di micro aziende che non possono più limitarsi alle vendite nel ristorante sotto casa.
In fondo, abbiamo di fronte molte opportunità e la prima regola di un’economia di successo dovrebbe essere quella di non sprecarne nemmeno una.
Pare, invece, percorrendo non tanto le vigne evocate dal patriarca Veronelli, quanto le strade commerciali del vino, che l’atteggiamento dei produttori sia sempre quello di chi si trova, all’improvviso, dinanzi al pericolo: chiusura, tatticismi per conservare posizioni, paura del nuovo. Fatte salve poche realtà, che forse sfiorano il mito proprio per la capacità sorprendente di guardare il nuovo che avanza senza tagliare i ponti con la propria storia, la maggior parte degli operatori del mondo del vino è arroccata, in attesa che passi un temporale che temporale non è.
Dunque, nel lento inizio d’estate, sentiamo emergere squillante la voce di qualche eretico, che fa il vino ancora per passione e non solo con la mappa di Risiko sulla scrivania. L’urlo di chi propone una propria idea con cocciuto entusiasmo, e non per attirare l’attenzione con un colpo di teatro, anch’esso studiato a tavolino; pensiamo all’inutilità di bottiglie bizzarre o di vini “pigiati coi piedi” e con espressa menzione del misfatto in etichetta.
Ciò che potrebbe servire più di tutto, per ridare vigore ai consumi in Italia, è riprendere l’entusiasmo di uno stato nascente, guidato dalla convinzione di offrire un progetto infallibile, anche quando non lo è. Lo deciderà la storia. Pensiamo alle cose migliori che abbiamo visto in questi mesi, al progetto delle Mortelle, in Maremma, dove l’ecosostenibilità è fatta sistema, un gioiello di architettura e un manifesto di amore per il territorio; ancora, la mente va al Carapace, la cantina-scultura creata da Arnaldo Pomodoro per i fratelli Lunelli a Bevagna, in Umbria, un’opera scandalosa, nel senso più antico. Ed eccoci alla parola chiave, che prendiamo in prestito da Elena Amadini, brand manager di Vinitaly che l’ha evocata in una tavola rotonda da noi organizzata a Milano lo scorso 21 giugno alla Cascina Cuccagna (cronaca a pag. 108). Scandalo, in senso evangelico ovviamente, cioè un’azione che, superficialmente percepita come turbamento della coscienza collettiva, in fondo getti le basi di una nuova morale.
Ecco, non siamo del tutto schizofrenici, e se invocavamo nel precedente editoriale “il senso della misura”, oggi non desideriamo l’opposto. Non ci riferiamo ad atteggiamenti giovanilistici o provocatori “gratuiti”, finalizzati a reclamizzare se stessi. Lo scandalo è del vigneron che crede fino al midollo nella biodinamica, di chi crede che il Sangiovese debba essere “puro” e, egualmente, di chi combatte perché non si creda nella “purezza” dei vitigni, di chi tuona perché il proprio spumante non venga definito tale, né bollicine né niente altro se non solo col suo nome.
Tra vent’anni, magari, scopriremo che il Franciacorta è solo uno Spumante, che il biodinamico è un’illusione, che il vitigno in purezza è una trovata retorica. Il vino oggi è più che mai mito e racconto, nulla importa quanto la storia che il signor Rossi, dinanzi a un’etichetta, pretende di ascoltare. Più sarà genuina, maggiore sarà il successo del vino.
© Riproduzione riservata - 17/07/2012