Scienze Scienze Anna Rainoldi

La Vigna 1350 sfida le Dolomiti

La Vigna 1350 sfida le Dolomiti

«L’idea di allevare la vite a Cortina rappresenta innanzitutto una sfida alla montagna: siamo nel vigneto più alto d’Europa». Così spiega il progetto Federico Menardi, per tutti “Comin”, che con l’enologo ampezzano Fabrizio Zardini e Francesco Anaclerio dei Vivai Cooperativi di Rauscedo ha dato vita nel 2011 alla Vigna 1350 (come i metri d’altitudine che le valgono il primato). «Un banco di prova sperimentale per la viticoltura di montagna» specifica Zardini. Qui abbiamo inaugurato la decima edizione di VinoVip con un picnic tra i filari insieme ai fondatori, a cui si è aggiunto anche il produttore di Valdobbiadene Gianluca Bisol, che contribuisce al progetto con l’impianto della nuova Vigna Major.

vigna-di-cortina-filariUn vigneto in condizioni estreme

L’obiettivo è verificare se e come la vite possa sopravvivere in montagna senza forzare le normali condizioni ambientali. Al bando i sistemi d’irrigazione, ma anche gli antiparassitari e i diserbanti: siamo in un parco naturale e l’erba in vigna viene falciata, rispettando il territorio. Non serve trattare le piante con fitofarmaci contro le aggressioni fungine come l’oidio, perché a questa altitudine i raggi Uva contribuiscono a sterilizzare le spore, oltre a stimolare i polifenoli, aumentando l’aromaticità del vino. Studiate le caratteristiche climatiche con il supporto della stazione meteorologica dell’aeroporto di Dobbiaco, si procede con l’impianto sperimentale. Questi primi anni di vita del vigneto sono stati un vero banco di prova: «Fin da subito abbiamo affrontato una grossa siccità estiva e il successivo inverno molto freddo: per quindici giorni la temperatura diurna di -12 °C calava, durante la notte, a -20 °C. Nonostante ciò, due anni fa abbiamo potuto procedere con le prime microvinificazioni, ricavando circa venti bottiglie per varietà». Spiega Zardini. Ma poi l’imprevisto: «Le pesanti nevicate dell’inverno tra 2013 e 2014 hanno accumulato sul vigneto 3,5 metri di neve: un peso di circa 2 mila chili per metro quadro! Il terreno non si è ghiacciato, e quando la mole di neve è scivolata via, ha trascinando con sé le viti, distruggendo quasi tutto. Sono rimasti illesi solo i due angoli laterali». Ma si va avanti: ricostituiti i filari, lo studio prosegue.

VIGNA-DI-CORTINALe varietà che non temono il freddo

L’esperto in campo è Francesco Anaclerio, direttore del centro sperimentale dei Vivai Cooperativi di Rauscedo. «Considerato il clima rigido, abbiamo scelto quattro varietà particolarmente resistenti al freddo, già in studio ai Vivai di Rauscedo per la Russia», spiega Anaclerio. «Due bianchi: Incrocio Manzoni 6.0.13 (o Manzoni bianco, unione di Pinot bianco e Riesling Renano) la cui germogliazione tardiva evita il problema della brina, e Palava, una varietà aromatica moldava frutto dell’incontro fra Traminer e Müller Thurgau, già spesso vinificati in blend nell’area trentina; da ottobre l’impianto di questo vitigno è consentito anche in Veneto e Friuli Venezia Giulia. Sul versante a bacca nera, invece, abbiamo scelto il Petit Rouge valdostano e l’André, incrocio tra Saint Laurent (un tipo di Pinot nero) e Franconia che si caratterizza per la maturazione precoce, a fine agosto».

Vigna Major e i grandi bianchi veneti

Bisol prende parte a questa realtà con Vigna Major – la più grande del progetto, appunto – dove l’impianto di Incrocio Manzoni selezionato dalla vendemmia sperimentale 2013 darà vita a un nuovo Metodo Classico. La vigna ampezzana si inserisce nel più ampio itinerario Venetian White Wine Experience: oltre ai Valdobbiadene storici della Cantina, questo percorso ideale tra i bianchi veneti «fa tappa nei terreni vulcanici dei Colli Euganei, dove produciamo il primo Metodo Classico da uve Moscato giallo al mondo, e sull’isola veneziana di Mazzorbo, che ospita il vigneto più profondo del mondo, sommerso dal mare sei o sette volte all’anno», precisa Gianluca Bisol. L’obiettivo resta recuperare il territorio e valorizzarlo. Come a Cortina, dove la vigna ha preso il posto di una cava.

vigna-di-cortina-simonit-cordone-speronatoProteggere la vite con la tecnica giusta

Lo stesso rispetto che si dimostra per il territorio va rivolto all’elemento fondante del vigneto: la pianta della vite. Come spiega Marco Simonit dei Preparatori d’Uva, descrivendo agli ospiti di Vigna 1350 il suo operato: «La domesticazione è una condizione necessaria per l’esistenza della vite nelle forme che noi conosciamo – la vite selvatica assume quasi l’aspetto di una liana – ma l’uomo deve mettersi dalla parte della pianta, considerare quali interventi possono danneggiarla». E sono tanti: «Primo fra tutti, la potatura. Una pratica necessaria, anno dopo anno, che se mal eseguita causa vere e proprie ferite nel tronco. Bisogna saper modellare naturalmente lo sviluppo dei rami evitando di tagliare dove non necessario. Le ferite indeboliscono la pianta e consentono ai funghi di penetrare nel vivo. E la progressiva necrosi del legno – spesso il decorso è lento, ma cronico – porta al deperimento della vite». La salvezza? Una tecnica corretta.

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© Riproduzione riservata - 24/07/2015

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