Vino Porto, il futuro di un classico

Vino Porto, il futuro di un classico

La vista dallo Yeatman è tra le migliori: Oporto antica affacciata sul fiume si riflette scura e densa di storia. L’ardito ponte novecentesco Dom Luís I collega le due sponde: quella da dove comincia la mia osservazione della valle del Douro in questa stanza luminosa, prende il nome di Vila Nova de Gaia, dove hanno sede gli uffici e le cantine d’invecchiamento di uno dei più storici vini fortificati del mondo. L’altra, Oporto, è quella che gli dà il nome.

Il futuro della regione

Lo Yeatman è il lussuoso albergo della Fladgate Partnership (la compagnia di Taylor’s, Fonseca, Croft e Krohn) costruito per accogliere i più esigenti tra i numerosi viaggiatori che da alcuni anni prendono d’assalto la valle del Douro, e visitano mediamente tre Cantine. Nel 2015 sono atterrate 9 milioni di persone all’aeroporto Francisco Sá Carneiro. È una delle informazioni chiave, per capire la regione e il suo futuro, che riceviamo durante la visita in questa imprescindibile regione viticola.

Il Turismo che rianima il vino Porto

La stessa sera, a pochi metri, e sempre con una vista mozzafiato, si cena al ristorante Vinum, la risposta allo Yeatman della famiglia Symington (proprietaria tra gli altri di Graham’s, Cockburn’s, Dow’s e Warre’s). Queste due grandi compagnie, con Axa Millésime e la sua gemma Quinta do Noval, sono gli ospiti di una trentina di studenti Masters of Wine vagabondi. Il turismo sta rianimando un vino che rischiava di stare tra i classici dell’enologia come i Promessi Sposi nella letteratura italiana: obbligato a studiarlo, ne faresti a meno. Invece, è uno dei nettari più complessi del mondo, che si esprime con varietà di stili unica, ed è imbattibile per longevità.

Il tasting di Vintage Port

Il tasting di Vintage Port

Il Porto non è mai stato così buono

Finita la pacchia dell’accoglienza, cominciano tre giorni da 15 ore di assaggi, visite, interviste nelle innumerevoli proprietà della triade d’oro che ci ospita. In estrema sintesi, come dice Christian Seely, direttore di Quinta do Noval: ««Il Porto non è mai stato così buono», e grazie al movimento generato dai viaggiatori, sta entrando in una nuova stagione di successi. In vigna gran parte del lavoro è concentrato sui preziosi muretti, tutelati dall’Unesco, che reggono i terrazzamenti dove a fatica si è insediata la vite, con terreni che talvolta debbono essere letteralmente ricostruiti dall’uomo, tanto sono rocciosi e inospitali. Poi la vite è forte, e le sue radici spingono attraverso lo scisto sfruttando ogni crepa.

La calda annata vintage

L’agronomo della Symington, Fernando Alves è uno dei massimi esperti della zona, gestisce gli oltre mille ettari del gruppo: un’enormità considerando che qui gli appezzamenti sono così piccoli che si conta non per ettari ma per numero di viti. Ci spiega che gli studi sono focalizzati sui portinnesti, sulla traspirazione delle piante e sulla gestione della chioma: insomma su tutto ciò che può portare a un equilibrio tra le varietà locali e il clima ostico, ora umido ora siccitoso, della valle del Douro. Nel 2015 nel Douro Superiore, in tre mesi, oltre la metà dei giorni ha superato i 35 gradi. Nel 2003 sono stati registrati addirittura 15 giorni sopra i 40, con le pietre che toccavano 70 gradi. Eppure fu dichiarata annata Vintage: quando si dice adattamento naturale.

Due approcci differenti

Ed ecco il secondo punto caldo: le varietà. La ricerca clonale per Touriga Nacional, Touriga Franca, Tinto Cão, Tinta Roriz, Tinta Barroca (le principali uve con cui si produce il Porto) è agli inizi. È interessante la “Biblioteca delle varietà autoctone” piantate dalla famiglia Symington a Quinta do Ataíde: 53 vitigni, 29 rossi e 24 bianchi. Entrando nelle Cantine, si presentano normalmente due approcci: il più diffuso è quello moderno, dove i tradizionali lagares, i larghi palmenti dove vengono pigiate le uve del Porto, sono di acciaio inox e si utilizza un sistema che riproduce meccanicamente il lavoro dei piedi che, invece, continuano a essere utilizzati nei lagares tradizionali di pietra. L’obiettivo è la massima estrazione di tannini e colore, con una delicatezza che consenta di evitare le componenti amare dei vinaccioli.

 

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 03/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com.
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© Riproduzione riservata - 09/08/2016

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