Il viaggio alla scoperta della produzione eroica valtellinese (dopo le tappe a Maroggia, Sassella e Grumello) ci conduce all’Inferno. Così si chiama la sottozona più calda dell’intero comprensorio, da cui nascono i vini più corposi e colorati. Un fazzoletto di 55 ettari vitati e tante storie di famiglia e di passione da raccontare.
“Pochi vini italiani possono stare a paragone di una vecchia bottiglia di vino valtellinese chiamato Inferno, un vino secco, spiritoso, amarognolo, che contiene la roccia e il bosco”. Così scriveva Guido Piovene in Viaggio in Italia. La notorietà di questa sottozona non è pari alla sua estensione vitata, circoscritta a 55 ettari che dal torrente Davaglione arrivano al promontorio del Calvario, coinvolgendo i comuni di Montagna in Valtellina, Poggiridenti e Tresivio.
Il cuore caldo della Valtellina
A differenza di quelle del Grumello, di cui è solo apparente prolungamento, le vigne dell’Inferno sono tutte distribuite sotto la strada panoramica a quote comprese tra i 300 e i 500 metri in uno dei luoghi – come suggerisce il nome – più caldi e aridi dell’intera Valtellina: qui nascono alcuni dei suoi rossi più colorati e corposi.
La zona storica, ubicata nel comune di Poggiridenti, è compresa tra la chiesa del Carmine e il torrente Rogna. Il toponimo è attestato dal 1445: “de petia una terre vineate et sassive iacente in territorio Trixiviplani ubi dicitur ad Inferum”. È una zona assai impervia, dove le erte pendenze dei terrazzi si aggrappano lungo brevi tornanti. Il controcampo dell’Inferno è, manco a dirlo, il Paradiso (una costa punteggiata da tanti piccoli terrazzamenti con pendenze più moderate e suoli più profondi), ma poco oltre a rimarcare l’asprezza e il sacrificio dell’area c’è il Calvario, che si sviluppa attorno a un imponente sperone roccioso e prende il nome dalla chiesa costruita sulla sua sommità.