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Villa Russiz: pochi esperimenti, tanta pazienza

15 Maggio 2010 Roger Sesto
Ubicata anch’essa a Capriva, Villa Russiz è una realtà molto particolare, si tratta infatti di una fondazione creata per offrire preziosi servizi per la tutela dell’infanzia. Chiediamo a Giovanni Menotti, direttore tecnico di questa cantina modello, quali sono i vini in cui si crede di più dal punto di vista della loro capacità di ben evoluvere nel tempo. “Di sicuro il Collio Sauvignon de la Tour e il Collio Merlot Graf de la Tour. Due vini cardine, che da sempre contraddistinguono la nostra realtà. Il segreto della loro quasi ‘magica’ evoluzione nel tempo? Principalmente il particolare terroir del Collio e in particolare la natura dei suoli, ricchi di marne e arenarie, che conferiscono a vini una marcia in più in termini di alcol e freschezza, aromi e concentrazione, grassezza ed eleganza. Un terroir fra i pochi a infondere naturalmente nei vini eleganza e potenza al tempo stesso”. Come ci si deve comportare in vigna, in presenza di un suolo così favorevole? “L’aspetto fondamentale è l’equilibrio, la ricerca di una giusta produttività; da noi non è detto che abbassare drasticamente le rese o esagerare col numero di ceppi/ha sia un bene. Per il nostro tipo di pedoclima, le viti hanno bisogno di un certo spazio, anche per evitare eccessivi ombreggiamenti che possono favorire delle malattie. Con il calore che si raggiunge da noi nei pomeriggi delle giornate estive, una produzione eccessivamente ridotta per pianta potrebbe essere controproducente. Qui non avrebbe senso potare le viti per avere 2 gemme per pianta, meglio 6/8 gemme. Quanto al sistema di allevamento, crediamo nel cordone speronato per i rossi e nel Guyot per i bianchi, ma in qualche caso anche nella cappuccina e nel doppio capovolto parziale”. In cantina, come vi regolate? “Cerchiamo di evitare ogni lavorazione non strettamente necessaria e a lavorare in riduzione, ma non in iperriduzione. Quanto alla vinificazione, seguiamo i dettami classici, ma non crediamo ad esempio nelle vinificazioni in rosso di uve bianche, non le riteniamo corrispondenti a nessuna tradizione e nemmeno pensiamo siano propedeutiche a una maggior longevità dei bianchi che ne derivano, in realtà a ben vedere sono vini che in un certo senso nascon già vecchi, una sorta di maturazione anticipata; noi preferiamo che invece il tempo faccia il suo corso con gradualità”. Ritenete fattibile un’operazione commerciale basata sui bianchi invecchiati? “Abbiamo in corso un piccolo progetto per scoprirlo sul campo, partito con l’annata 2008, ossia di accantonare 1.500 bottiglie del nostro Sauvignon per poi commercializzarle a distanza di 3-4 anni, ossia a partire dal 2012, così da vedere come il mercato reagisce”. Visto che parliamo di Sauvignon, ci racconta di alcune annate particolarmente appetitose di questo vino, da voi ancora serbate in cantina? “Tenuto conto che i nostri Sauvignon partono da uve ben mature, per evitare un profilo organolettico troppo orientato alle pirazine, alla ‘pipì di gatto’ per intenderci, direi che le annate che più ci hanno sono state la 1994, la 1996, la ’99, la notevole 2001, a sopresa la 2002, in quanto nel Collio durante la fase di maturazione abbiamo avuto il giusto livello di insolazione a differenza di gran parte delle altre aree viticole, la 2004 e soprattutto la 2006, che giudico semplicemente emozionante. La 2008 è ancora presto per giudicarla compiutamente”.

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