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VigneCorte, storia di un vigneron montanaro e della sua preziosa eredità

VigneCorte, storia di un vigneron montanaro e della sua preziosa eredità

La giornalista Marianna Corte ci racconta della piccola vigna a Monterosso che curava suo padre e che ora ha ceduto in custodia alla Cantina Vetua. Una narrazione molto personale, proprio come il suo legame con questa terra, prezioso insegnamento “di vite” dell’amato genitore.

L’unico rimpianto che ho è quello di non aver seguito, come avrei potuto negli ultimi anni, con il mio babbo i lavori in campagna. L’unico sollievo è quello di aver ascoltato sempre, e fino alla fine, tutto quello che mi spiegava su quella sua piccola terra. Un fazzoletto di vigna che conta poco meno di 1.500 metri, a picco sul mare delle Cinque Terre. Una vigna che il mio babbo aveva comprato 40 anni fa grazie al consiglio del suo amico Renzino e che da allora ha curato, amato e allevato come un cucciolo da crescere. E ora, più che mai, capisco perché per la vigna si debba usare quel verbo: allevare. È stato proprio così per lui e potrebbe un giorno esserlo anche per me.

Il tema ora però è tutto quello che sta in mezzo tra l’ultima annata (finita con il travaso lo scorso 6 maggio dell’ultimo suo vino prodotto e da me imbottigliato a giugno) e quel tempo che forse mi vedrà al suo posto. In campagna a seguire i lavori tra i filari e a raccogliere le uve. In cantina a pulire, preparare le vasche, portare le “baie” con il trenino in vigna il giorno prima della vendemmia. E quindi, poi, la raccolta dell’uva che non deve prendere caldo, la diraspatura, il torchiaggio, il controllo del frigorifero per le piastre da posizionare nelle vasche d’acciaio per controllare la temperatura del mosto. E quindi, poi, il momento, un poco magico, in cui le vasche si devono chiudere ermeticamente nell’attesa che il mosto si trasformi in vino.

Un vino bianco da uve Vermentino, Bosco e Arbarola in parti uguali, ogni volta diverso dall’annata precedente perché «sai, il vino per me non deve essere il vino dell’enologo», mi diceva parafrasando il titolo di quel piccolo ma illuminante, per il mio babbo, libro di Corrado Dottori, quel Non è il vino dell’enologo. Lessico di un vignaiolo che dissente che lui aveva letto e sottolineato con l’evidenziatore.
Quel libro che io ho ritrovato ora tra gli scaffali della nostra cantina, vicino a un volume di Stefano Mancuso, altro “mentore” per il mio babbo che nella sua piccola vigna aveva messo gli altoparlanti per trasmettere la musica di Mozart, «che se non farà davvero bene alle piante fa stare bene me mentre sono su». Su tra le piccole terrazze con filari potati a Guyot, con le piante tenute da lui volutamente molto basse per ottimizzare al massimo una resa sempre più condizionata dalla siccità.

Tutto è cominciato nel 1983 quando il babbo, montanaro di nascita, mentre era di fronte al mare volgeva lo sguardo alla terra alle sue spalle. Perché era la terra che a lui interessava. Si immaginava lì, una volta arrivata la pensione. Un desiderio che il suo amico contadino per passione ha raccolto e, alla prima occasione buona, ha reso realizzabile.
È stato così che un giorno il mio babbo ha varcato il piccolo cancello, a metà di una scalinata molto ripida, e con la felicità di un ragazzino ha sentito per la prima volta nella sua in vita di possedere “una cosa”. Questo me lo ha sempre raccontato, commuovendosi ogni volta e ogni volta ripetendomi che però io a quella terra non mi sarei dovuta mai affezionare. Nelle sue intenzioni di allora il vigneto doveva essere il suo buen retiro e il mio bene rifugio. Perché «nella vita devi sempre avere una riserva, un piano B per quando le cose non girano nel modo giusto», mi diceva.

Mai parole sono state tanto mal spese. Certo, per un po’ io mi sono tenuta alla larga, non mi curavo di quello che succedeva su quelle piane. Nulla mi interessava di cosa facessero i miei genitori per curare quella terra, nulla sapevo dei trattamenti che il mio babbo faceva e della potatura e della legatura della vigna, lavori in carico alla mia mamma. La vigna per qualche anno non mi “richiamava” e del suo vino mi interessavano solo le serate in cantina.

Poi ho fatto un errore: ho chiesto a un amico di dare un nome alla vigna. VigneCorte, un nome che raccoglie tutto. Il nostro cognome e le dimensioni del nostro vigneto. È bastato un nome perché io da quel momento non sentissi più la terra come una semplice cosa, ma la percepissi come una parte fondamentale della vita della nostra famiglia. Ormai l’errore l’avevo fatto, e mi era impossibile tornare indietro: battezzando la vigna avevo ormai stretto con essa il mio legame sentimentale. Quel legame che oggi mi ha messo di fronte a un cammino, tracciato dal mio babbo, vigneron per passione.

Quando lo scorso anno, il mio babbo – oramai prossimo ai 90 – mi ha chiesto che cosa avrei voluto fare. La risposta è stata semplice: avrei voluto tenere quella terra. La risposta è stata buona. Ha rincuorato lui che cominciava a voler sistemare tutto prima della sua “partenza” ma, al di là di ogni romanticheria, bisognava fare i conti con la realtà. Per chiudere il cerchio nel migliore dei modi, ancora una volta bisognava lasciare da parte i sentimenti. O meglio, bisognava tenere insieme i sentimenti e la realtà. Una realtà, la mia, che oggi non si può conciliare con le pretese che ha una vigna, per quanto corta sia.

Non è stato difficile per lui scegliere chi potesse curare e voler bene a quella che oggi è la mia vigna. Senza nessun dubbio, ha visto in Sebastiano, insieme a Rosy (nella foto sopra) titolare dell’azienda agricola Vétua, il contadino più giusto per prendersi cura delle sue VigneCorte. Sebastiano, il genero del suo amico Renzino, lui che insieme a sua moglie Rosy cura la propria vigna confinante con la nostra, con le stesse attenzioni, il medesimo rispetto e la stessa fatica che in 40 anni il mio babbo ha riversato sulla sua terra. Una scelta naturale perché legata ai sentimenti, perché il legame tra quei due contadini di altri tempi è oggi il legame che c’è tra me e loro, che dell’allevamento della vigna e della produzione del vino hanno fatto un mestiere ed etichette apprezzate anche dalla critica.

Ed è così che il cerchio può dirsi davvero chiuso. Io godo della bellezza di quel terreno così curato, dove ogni volta che vado ritrovo pezzi di vita dei miei genitori. Le VigneCorte hanno così chi si prende cura di loro con attenzione.
A legare me e le Vigne Vétua, così si chiamano i vigneti di Renzino Scapparone, ci sono i sentimenti, un contratto perché è giusto così, e tanti accordi sottintesi, perché è bello così. Tutto potrà funzionare, se i due vigneti andranno d’accordo, «perché ricordati che avere dei buoni vicini è la cosa più importante per un contadino. Perché quello che tu fai, o non fai nella tua vigna, poi ritorna sulla mia. E se io mi impegno per rispettare al massimo la mia terra, se io allevo le barbatelle come se fossero i miei bambini ma poi il vicino sceglie una strada diversa, magari solo in nome del profitto, allora tutto va a rotoli», mi ha sempre ripetuto il mio babbo.

Una raccomandazione la sua che è un comandamento per chi ha avuto la fortuna di ereditare un pezzo di terra coltivato, di cui però non si può occupare. Perché non c’è cosa più brutta, non c’è nulla che può ferire i sentimenti più di una terra non curata. Un vigneto che, se trascurato, in due anni non solo non ti darà più buoni frutti ma perderà anche di valore, da ogni punto di vista.
Quando si ha una terra, quando si sceglie di essere un contadino per passione, bisogna saper guardare avanti e prepararsi per il dopo. Quale che sia il futuro che ti toccherà in sorte, la terra non merita mai di essere trascurata. Il modo perché ciò accada ognuno lo trova dentro di sé. Che sia una scelta economica o che sia frutto di buoni sentimenti, in ogni caso bisogna pensarci per tempo. Perché – questo lo sa chiunque abbia anche solo un piccolo orto – è sempre solo il tempo a dettare le regole di ogni buon raccolto. E anche quando le nuvole ti entrano nel cuore, bisogna prepararsi a quando tornerà il sole. Così è stato per le VigneCorte.

Foto di apertura: Piero e Marianna Corte al lavoro nelle VigneCorte

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© Riproduzione riservata - 19/11/2023

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