Viaggio nella materia prima (4): dove nasce il sapore inconfondible dell’agnello

Viaggio nella materia prima (4): dove nasce il sapore inconfondible dell’agnello

Sono le erbe dei pascoli a costituire la base alimentare delle greggi e a dare un’impronta unica al suo sapore. Alcuni chef lo preferiscono da latte, altri con qualche mese di età in più. Tre consorzi lo valorizzano.

Riguardo all’agnello – il piccolo di pecora fino a un anno di età – si può affermare che gli italiani debbano ritenersi fortunati. Possono disporre della carne di un animale che non solo si muove sui pascoli, ma che viene alimentato con latte di pecora che bruca per la maggior parte della sua vita erba fresca. Eppure, spesso le generazioni più giovani non lo scelgono, ritenendo il suo consumo una crudeltà verso gli animali.
Un atteggiamento che potrebbe essere più valido nel caso dei vegetariani, anche se questi ultimi mangiano formaggi e i formaggi senza latte non si possono fare. Così come la pecora per poter produrre il latte deve dare alla luce a sua volta un agnello. L’agnello inoltre, e in generale le pecore, ricoprono un importante compito sociale. Brucando, tengono bassa la coltre erbosa dei pascoli, facilitando lo scorrimento superficiale delle acque piovane ed evitando che il terreno frani.

Fonte di ricchezza per i Romani

Lo si alleva sin dai tempi più antichi. Il suo carattere mite potrebbe averne favorito l’addomesticamento. Probabilmente è stato uno dei primi animali ad essere sacrificato agli dei. Se ne parla ampiamente nella Bibbia e già in epoca Romana se ne approfondiscono le problematiche di allevamento. Nel secondo libro De re pecuaria del trattato De re rustica di Varrone (I secolo a.C.), l’autore parla dell’organizzazione del gregge, del personale e anche dei cani. Per quei tempi gli armenti costituivano una vera e propria ricchezza fornendo carne, latte e soprattutto lana. La parola pecunia, ossia denaro, risale alle pecore. Solo fino a qualche decennio fa ogni famiglia contadina ne aveva qualche capo. La sua carne faceva parte di specialità gastronomiche dedicate alle feste e ogni regione ha un suo piatto (abbacchio alla romana, agnello “cacio e ova” abruzzese…).

I consigli dello chef

Ai tempi odierni si può scegliere tra agnello da latte e agnello che ha già iniziato a brucare, dipende dai gusti personali. Mauro Ricciardi nella Locanda Tamerici, a Fiumaretta di Ameglia (Spezia) preferisce l’agnello che ha già brucato e che ha carni più sode e saporite. «La mia idea è di un assaggio a tutto tondo. Quindi preparo diverse parti cucinate ognuna nel modo che ritengo migliore e infine aggiungo tocchi di erbe e di frutta». Nel piatto, denominato semplicemente “L’agnello”, vengono sistemati un muscolo di coscia e costine cotti entrambi con poco olio e burro chiarificato in una padella di ferro, con l’aggiunta di erbe aromatiche a fine cottura. La coratella (le interiora di polmone, fegato, milza, reni e altro) viene cotta, passata e introdotta in un cannolo.
Alla fine si aggiunge la salsa di fondo di agnello, fatto con ossa e verdure, e si insaporisce con succo di mandarino ridotto. Il vino che lo accompagna degnamente è il Bolgheri Rosso Doc Le Macchiole.

agnello
Pascoli sul Gran Sasso in Abruzzo
© S. Amicone – Unsplash

Gli allevatori raccontano

Sono tre le Indicazioni geografiche protette che tutelano la produzione di agnello italiano: abbacchio romano, agnello del Centro Italia e agnello di Sardegna. Abbacchio romano e agnello di Sardegna commercializzano quasi esclusivamente agnelli da latte, quello del Centro Italia, invece, animali che hanno iniziato a brucare o che hanno brucato. La scelta è dettata dall’esigenza di evitare sovrapposizioni, dato che il Centro Italia comprende anche il Lazio, assieme a una parte di Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Abruzzo.
«Da noi c’è una lunga storia di pastorizia testimoniata dai tratturi, quei cammini tracciati dagli spostamenti degli armenti che collegano zone di montagna e interne con il mare», ricorda Giampaolo Tardella, direttore del Consorzio di tutela dell’agnello del Centro Italia. «Le greggi attraversano anche diversi parchi naturali per un pascolo unico e salubre. Sono cose che la gente non sa e noi stiamo cercando di comunicarlo il più possibile».
L’abbacchio romano ha più nomea, è conosciuto come uno dei capisaldi della cucina romana e del Lazio. «La pecora ha sempre fatto parte della storia della nostra regione», afferma Natalino Talanas, presidente del Consorzio di tutela dell’abbacchio romano. «Purtroppo gli allevamenti degli agnelli si stanno contraendo per motivi sempre più pressanti, come la carenza di personale e l’aumento della burocrazia».

La produzione sarda e gli altri distretti

Il problema di una restrizione produttiva sembrerebbe non toccare l’agnello di Sardegna, che dispone di molti più capi rispetto alle altre Igp e di una buona organizzazione di proposte di vendita. «Riusciamo a porzionare e a confezionare le varie parti di agnello in modo che il cliente trovi già pronto ciò che gli interessa», precisa Alessandro Mazzette, presidente del Consorzio per la tutela dell’Igp agnello di Sardegna. «In particolare notiamo aumenti della richiesta di arrosticini e hamburger».
A parte le Igp ci sono altre zone in cui l’allevamento dell’agnello è significativo, come l’altopiano di Alpago in provincia di Belluno, Zeri in provincia di Massa Carrara e la Valle Stura in provincia di Cuneo, con la razza Sambucana. Per assaggiare queste specialità occorre recarsi in zona o in località importanti a breve raggio di distanza. Queste piccole realtà devono confrontarsi con il fatto che sempre meno pastori hanno il gregge e sempre più pericoli si presentano nell’allevamento, come i lupi che in alcune zone non dispongono di altri erbivori di cui nutrirsi se non le pecore.

Foto di apertura: l’agnello è stato tra i primi animali che l’uomo ha addomesticato e quindi allevato © Consorzio per la tutela dell’Igp agnello di Sardegna

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© Riproduzione riservata - 16/03/2024

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