
Viaggio nella materia prima (6): la doppia anima della scarola

Questa verdura dai molteplici utilizzi è ottima sia preparata in insalata (la parte tenera del cuore) sia cotta (le foglie esterne e croccanti) e il suo periodo migliore è quello invernale. Proviene dal Centro-sud Italia, ma viene coltivata anche al Nord. I consigli dello chef e la parola ai produttori.
Per la scarola essere protagonista di un piatto immancabile della vigilia della festa più amata dell’anno, il Natale, è una bella collocazione nell’importanza degli alimenti della dieta della tradizione italiana. Dieta intesa nel senso più corretto, ossia come stile di vita. I napoletani in questo senso hanno fatto centro con la loro pizza alla scarola, una ricetta povera, antica, senza pomodoro e molto apprezzata.
Quest’ortaggio si sta dimostrando sempre più una preziosa risorsa invernale e ha esteso la sua area di consumo dal Centro-sud, dove ha origine, fino al Nord per la sua duttilità in cucina. Si presenta con una forma aperta con un cuore tenero di color chiaro e una parte esterna più scura e croccante. Questo perché la nascita delle foglie, come per tutti i vegetali, va dall’interno all’esterno, e al centro ci sono le più giovani.
Gustosa medicina
La famiglia è quella delle cicorie, il nome corretto sarebbe Cichorium endivia varietà latifolium che si differenzia dalla “cugina” Cichorium endivia varietà crispum, l’indivia riccia caratterizzata da foglie strette (mentre quella classica le ha larghe). Questa suddivisione risale alla fine del Settecento ad opera del naturalista francese J.B. Lamark. Eppure questo alimento era conosciuto anche dai nostri antenati, i Latini, e sicuramente ancor prima di loro. Una delle prime citazioni sembra risalire al medico Galeno, vissuto nel II secolo d.C., per le sue proprietà benefiche e terapeutiche: toniche, depurative, diuretiche, lassative e anche febbrifughe.
Attualmente, a parte le ricette della tradizione, la scarola si può interpretare a piacere, persino frullata e inserita in un caramello, come ama proporla Marco Rispo, chef del ristorante Le Trabe di Paestum, il quale la apprezza a tal punto da tenerla in mano anche in un’immagine sul sito.
I consigli dello chef
Il piatto si chiama Scarola attaccata, ossia legata. Lo chef la cucina intera, dopo averla legata come un arrosto e cotta in un mix di poco olio, acqua, rosmarino, sale e aglio. Le foglie più dure, quelle esterne, vengono cotte e frullate, aggiunte a un caramello di zucchero e panna. A parte si prepara un altro caramello aggiungendo pinoli. La parte rimasta intera viene poi porzionata, grigliata da entrambi i lati e accompagnata dalla prima crema e da briciole di caramello ai pinoli.
«Per me la scarola è come una tela bianca per un pittore, posso interpretarla come credo», racconta Rispo. «Per avere un ottimo risultato si deve avere la sicurezza di partire da una materia prima valida, in cui ci sia un buon equilibrio tra il cuore e l’esterno, anche per evitare sprechi. Noi abbiamo la fortuna di coltivare un orto e da questo punto di vista siamo tranquilli».
L’abbinamento suggerito è con Ponte dei Santi, Greco di Tufo Docg di Villa Raiano.
La parola ai coltivatori
C’è chi coltiva la scarola da consumarsi intera e c’è chi invece preferisce aumentarne il cuore tenero, magari chiudendo le foglie esterne con uno spago per porre il cespo al buio e al fresco. Un po’ come si fa per il radicchio rosso di Treviso, praticando cioè il noto imbianchimento. Senza fotosintesi le foglie interne rimangono chiare e tenere per un maggior utilizzo a crudo.
È la scelta che ha fatto Damiano Fornari, il quale nella sua azienda Lady Leaf nel Mantovano si è specializzato in questa tecnica che adotta per buona parte della sua produzione. «Sono riuscito ad avere la scarola quasi per tutto l’anno», spiega. «In inverno mi sposto in Toscana, vicino al mare, in estate in montagna al Fucino, rimanendo nel Mantovano in primavera e in autunno. Essendo una verdura invernale la scarola non sopporta le alte temperature, ma nemmeno i freddi intensi come gli altri radicchi».
Nei Pat (Prodotti agroalimentari tradizionali) quest’ortaggio è nominato scarola bionda e pizza alla scarola in Campania, scarola centofoglie o scarola Venafrana in Molise, scarola di Bassano in Veneto. Ma ci sono altre zone produttive importanti come la Puglia, anche se non nominata nei Pat, e il Lazio, oppure quella più curiosa dei colli di Bergamo, dove si preferisce utilizzare la tecnica dell’imbianchimento.
I metodi di coltivazione
«Qualche decina di anni fa», racconta Franco Viscardi, titolare dell’omonima azienda di famiglia, «sui colli di Bergamo si distinguevano da lontano le colture di scarola. Oggi siamo rimasti in quattro agricoltori. Io ho mantenuto la scelta di mio padre lavorando senza concimi e pesticidi». Le sue colture si trovano su terreni scoscesi e i cespi di insalata, una volta raccolti con la radice, devono essere trasportati a piedi con la gerla fino in cantina. Qui avviene l’imbianchimento, a cui segue la pulizia delle foglie più dure. La scarola che viene venduta è quasi tutta utilizzabile a crudo.
Nella sua zona di origine, in Campania, la si può coltivare in pieno campo in inverno e proseguire agli inizi della primavera. Elena Marchese ha una lunga esperienza, ereditata dai nonni contadini, nella gestione della mini azienda di famiglia a Paestum. Si definisce una micro imprenditrice e mai rinuncerebbe ad avere il miglior risultato nel modo più naturale possibile. «Io stessa seleziono i semi anno per anno», precisa, «dai cespi che ritengo migliori. Certo possono capitare attacchi di insetti e anche temporali, e può esserci una perdita nel raccolto, ma le piante più robuste si difendono bene».
Foto di apertura: in Campania si può coltivare in pieno campo anche in inverno © Azienda agricola Marchese
Tag: materia prima, ricette, ScarolaPer scoprire gli altri prodotti della serie Viaggio nella materia prima clicca qui+
© Riproduzione riservata - 02/02/2025
Leggi anche ...


