Viaggiare in Portogallo: il vino Porto e la Valle del Douro

Viaggiare in Portogallo: il vino Porto e la Valle del Douro

di Stefano Tesi

C’erano una volta la Valle del Douro e la sua epopea seppiata, in chiaroscuro. Quella che in un centinaio di chilometri conduceva, seguendo il corso del grande fiume, dalla ruralità dei 48 mila ettari di assolate vigne a terrazza dell’alta valle (dal 2001 dichiarata Patrimonio dell’Unesco) dove si producono le oltre 50 varietà d’uva, da cui poi si ricava il Porto, all’Atlantico e alla brulicante città di Porto, con la sua vitalità operaia un po’ indolente e la sua storica corona di cantine dei grandi brand del più famoso vino portoghese, messe lì a celebrare ostinatamente le glorie di un passato impolverato.

Disposti sulle alture del sobborgo di Vila Nova de Gaia, sul lato sinistro del corso d’acqua, questi enormi opifici dall’aria ottocentesca mantengono intatto il loro fascino e il loro tesoro enoico. Ma sono sembrati per lungo tempo, e forse sembrano ancora oggi, gli astri di una costellazione tanto vasta quanto vagamente offuscata. Come le fortune economiche del prodotto che custodiscono e che rappresentano. E come, più in generale, quelle del Paese che le ospita, in perenne lotta con le sue criticità strutturali.

L’alta valle del Douro al centro della scena

Ma il Portogallo è un Paese strano, abituato a vivere in contraddizione, sul filo delle crisi e sotto il tiro costante del Fondo Monetario. Capace pertanto di una resistenza insospettabile alle pressioni. Gommoso ed elastico come il sughero, di cui non a caso è il massimo produttore mondiale. O forse, nell’universo globale, è solo una realtà ancora marginale quanto basta per mantenere vive risorse e possibilità di adattamento tutte sue. A questo va poi sommata l’anima “nordica” tipica della città di Porto, un’anima industriosa che il vecchio detto lusitano scolpisce con rara efficacia nelle sue peculiarità caratteriali: “Coimbra canta, Braga prega, Lisbona si vanta, Porto lavora”.

Comunque stiano le cose, una è certa: se fino a qualche anno fa il destino del Porto, inteso almeno come vino, appariva destinato all’inesorabile declino determinato dal mutare dei gusti mondiali e dall’aggressione di una frastagliata concorrenza, oggi la situazione appare sostanzialmente mutata.

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La Valle del Douro con le sue vigne a terrazza Patrimonio dell’Unesco

Anche grazie al fatto che, proprio per effetto della mondializzazione dell’economia e delle relative strategie, i grandi investimenti a sostegno del sistema-Porto a cui si è assistito negli ultimi anni non hanno riguardato solo la componente industriale della filiera, che continua anzi a pagare dazio alla contingenza, ma ha coinvolto pure il segmento a monte. Proprio nel senso di quello che viene prima, anche geograficamente parlando: cioè l’alta valle del Douro.

La quale quindi, oltre a rimanere la casa dei vigneti che danno vita al vino liquoroso per antonomasia, sta passando pian piano dal trovarsi all’estrema periferia del sistema a esserne il fulcro. Per non dire che sta costituendosi come un sistema economico a sé. E lo fa, sì, coi soldi dell’industria ormai multinazionale del Porto e con quelli di altri investitori, spesso stranieri, ma puntando sulle risorse che fino a ieri costituivano solo lo sfondo, paesaggistico e talvolta oleografico, del grande business vinicolo: i vini da tavola prodotti sul territorio, la valorizzazione in chiave gourmet dei prodotti tipici tradizionali, la costruzione di un’offerta enogastronomica di alta fascia e la creazione di un sistema ricettivo che, facendo leva sulla qualità architettonica e ambientale dell’esistente sta trasformando in relais di charme destinati al turismo internazionale la galassia di fattorie (le classiche “quinte”) e di resedi che costellano i fianchi della valle. Il panorama accecante e le straordinarie vedute offerte dalle anse del fiume sormontate di vigne e brulle colline fanno il resto.

Il vino Porto si divide tra export e turismo

Un’evoluzione silenziosa ma inarrestabile, questa, che sta quasi capovolgendo il ruolo stesso del vino Porto: da classico prodotto d’esportazione, quale sostanzialmente è sempre stato, a (anche) strumento di attrazione turistica ed enogastronomica verso la zona di origine e il comprensorio circostante. Città compresa. Un contrappasso? Sotto certi aspetti, sì. Oppure qualcosa di più. Il fenomeno, infatti, non si verifica per caso e ha viceversa solide fondamenta socioeconomiche.

La prima di queste è che, per gli effetti legati alla globalizzazione degli scambi, perfino negli anni più difficili il Porto ha esteso geograficamente il raggio dei suoi mercati. Nel senso che, a prescindere dall’aumento o dal calo dei volumi
esportati e dei relativi valori, il vino è via via approdato in quantità di prodotto commercialmente interessanti in un numero di Paesi sempre più vasto. Stando ai più recenti dati resi disponibili dall’Istituto del vino del Douro e di Porto, nel 2015 è stata la Francia, con una quota del 21%, il mercato di sbocco estero più ricettivo, seguito dalla tradizionale Gran Bretagna (12%), dall’Olanda (11%), dal Belgio (10%) e dagli Usa (8,5%). Ma ciò che ai nostri fini è interessante in questa speciale classifica, in cui l’Italia si colloca al 12° posto con lo 0,8 del mercato, è che nella stessa compaiono destinazioni come Russia, Brasile, Messico, Irlanda, Paesi scandinavi e baltici, Repubblica Ceca, Polonia. Tutti Paesi, i primi e i secondi, generatori di flussi turistici sempre più importanti, soprattutto nella fascia d’utenza di reddito medio-alto. È presso questo target che il Porto, oltre che un vino famoso, si presta ormai a fungere da diretto ambasciatore del territorio di produzione.

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Il pittoresco quartiere Ribeira di Porto

La seconda circostanza di cui tenere conto è che la città di Porto ha conosciuto nell’ultimo decennio un autentico boom come hub per i voli low cost e per il trasporto aereo regionale, fenomeno che ha fatto dell’area una delle destinazioni turistiche d’Europa più facilmente raggiungibili. Considerato che la valle del Douro si addentra nell’entroterra per un centinaio di chilometri fino al confine spagnolo, costeggiata da una strada altamente panoramica nonché servita a breve distanza dalla grande arteria A4, e che ampi tratti del fiume sono navigabili anche da battelli turistici, ciò è bastato a trasformarla, in breve, da terra isolata a luogo accessibile da qualunque parte del mondo, senza lunghi trasferimenti e con servizi affidabili. Il prossimo passo potrebbe essere la valorizzazione delle possibilità di risalita del corso del fiume in ferrovia.

Il terzo elemento da considerare è costituito dalla somma dei primi due: l’esistenza di un vino universalmente noto e commercializzato in tutto il pianeta, come il Porto, connesso a un immaginario forte e radicato, sostenuto da un marketing potente e globale, ma anche legato a un’area di origine ristretta e fortemente identitaria, connotata da caratteristiche paesaggistiche e culturali pressoché uniche e coronata dal non trascurabile marchio di Patrimonio Unesco: tutto quanto basta a dare il via alla nascita di un indotto ricettivo che oggi appare in pieno sviluppo e rappresenta uno dei volti nuovi, se non il più nuovo, del pianeta-Porto.

Il viaggio in Portogallo prosegue su Civiltà del bere 01/2016. Per leggerlo tutto acquista il numero nel nostro shop (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com.
Buona lettura!

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© Riproduzione riservata - 05/04/2016

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