Sfide strutturali e congiunturali hanno scatenato sul settore vitivinicolo un uragano a cui non serve opporsi. La strategia migliore è l’adattamento, come emerge dall’analisi del Centro studi management DiVino di Studio Impresa. L’intervista al suo direttore Luca Castagnetti
Nonostante il settore del vino stia attraversando una “tempesta perfetta”, trasfide strutturali e congiunturali, i risultati del 2024 sono positivi, ma i dati medi non rispecchiano la realtà. A restituire una fotografia nitida e utile al settore, grazie a uno sguardo più approfondito che distingue le situazioni reali delle aziende, è la ricerca del Centro studi management DiVino di Studio Impresa, presentata nei giorni scorsi dal direttore Luca Castagnetti presso l’Università di Verona nell’ambito del convegno “2025, Il vino italiano nella tempesta perfetta: quali i modelli di business vincenti?”.
Le peculiarità della ricerca
Era il 2019 quando Luca Castagnetti a VinoVip Cortina presentò la prima bozza dell’analisi sulle tematiche economico-finanziarie del settore vitivinicolo con questo nuovo approccio. Divenuta annuale, l’indagine si differenzia dalle altre autorevoli iniziative (quale quella di Mediobanca, che focalizza maggiormente l’attenzione su aziende di dimensioni medio-grandi) per il campione preso in esame e per l’approfondimento delle dinamiche in essere, distinguendo le aziende per fasce di ricavi, categorie e tipo di asset. La ricerca “Analisi dei bilanci delle Cantine italiane: quali i modelli vincenti?” ha il merito di fornire a tutti gli imprenditori del settore non semplicemente dati statistici, ma modelli di business con cui confrontarsi per intraprendere le proprie strategie per affrontare il futuro.

In che situazione versano le aziende vitivinicole italiane?
Alcune si stanno adattando al nuovo contesto di mercato e riescono a produrre marginalità, ridurre il debito, assecondare l’offerta, quindi a sviluppare aggiustamenti tattici di breve periodo o strategici di lungo periodo che definiscono la loro capacità di adeguarsi al mercato. Tuttavia altre dimostrano una strutturale incapacità, o perché troppo piccole per attuare strategie di diversificazione di mercati o di prodotto oppure perché, pur essendo medie o medio-grandi, non hanno quella elasticità indispensabile per adattarsi a un mercato oggi profondamente diverso.
Quali sono le strategie vincenti da mettere in campo?
Il mondo del vino non deve limitarsi a resistere alle difficoltà, ma trasformarle in occasioni di riequilibrio e riorientamento. Le strategie vincenti si fondano sulla capacità di cambiare insieme al mercato anche attraverso una lettura manageriale di maggior dettaglio. Il settore ha bisogno di conoscenza e stimoli in grado di orientare le direzioni aziendali che, lo vediamo in questi giorni, stanno affrontando una crisi di mercato che renderà i numeri del 2025 forse molto diversi da quelli qui analizzati.
Quali sono caratteristiche del campione da cui scaturiscono le indicazioni per le aziende?
La nostra analisi si è basata sui bilanci depositati per il triennio 2022-2024 di 877 imprese italiane del settore con più di 1 milione di euro di fatturato, su un totale di un migliaio, abbiamo individuato differenze sia per classi di ricavo, da 1 a 5, 5 a 10, 10 20, 20 50 o oltre 50, sia per la natura giuridica delle imprese. Un campione che assomma 13,4 miliardi di euro di ricavi, quindi assolutamente rappresentativo di tutto il settore, composto da 266 cooperative e da 611 imprese private. Del totale 577 sono società agricole, somma tra aziende e cooperative agricole, mentre 300 sono imprese “industriali”. Le prime trasformano uva propria, le seconde comprano uva o vino sfuso da terzi.
E poi c’è una terza suddivisione tra asset “light” o “strong”
Esatto, distingue rispettivamente le aziende che hanno un coefficiente di immobilizzazioni materiali sul totale attivo inferiore al 30% da quelle che ce l’hanno superiore. Le immobilizzazioni inferiori sono tipiche di aziende di tipo più commerciale che comprano le materie prime, uva e/o vino. Quelle superiori, invece, appartengono ad aziende che hanno importanti capitali investiti, con vigneti e cantine.

Cosa è emerso analizzando l’iter delle aziende del campione nel triennio?
Prendendo in considerazione i dati medi, l’esercizio 2024 si è chiuso con un aumento dei ricavi del +2% (+0,7% al netto dell’inflazione) sui risultati 2023 e con l’indice di redditività EBITDA al 10,5% in miglioramento del +7,4%. Una crescita che mi ha sorpreso, tuttavia si tratta di una positività che sta nei dati medi. Andando a guardare il dettaglio, ben 416, quindi quasi il 47% del campione, hanno perso redditività innestando figurativamente la “marcia indietro”.
Nel dettaglio quali sono state le performance per fasce dimensionali?
A registrare i risultati migliori nel triennio 2022-2024 sono state le grandi imprese con più di 50 milioni di ricavi (+8,4%) che, pur rappresentando solo il 6,27% del campione, realizzano più della metà dei 13,4 miliardi di euro complessivamente registrati dall’indagine per il 2024. Seguono in terreno positivo le imprese con dimensioni di vendita comprese tra i 20 e i 50 milioni di euro (+4,5%), mentre diminuiscono molto (-9,9%) le aziende della fascia compresa tra 10 e 20 milioni di euro. Le imprese sotto i 10 milioni di euro, pur arginando le perdite nel triennio, rappresentano il 71% del campione, ma esprimono solo 17% dei ricavi del comparto. Tra le grandi aziende a crescere sono le cooperative e non quelle private. Le piccole, invece, hanno perso ricavi e sono anche state superate dalle grandi per marginalità perché fino all’anno scorso le aziende sotto i 5 milioni di euro avevano un margine maggiore delle grandi.
C’è correlazione tra dimensioni e reattività alle sfide del mercato anche in termini di redditività?
Le dinamiche della redditività (EBITDA) risultano quasi proporzionali alla dimensione delle imprese, con le piccole che perdono terreno anche sul fronte dei margini. Le realtà più piccole, con ricavi inferiori ai 5 milioni di euro e compresi tra 5 e 10 milioni, registrano nel triennio le contrazioni più marcate (rispettivamente -16,4% e -6,4%). Al contrario, evidenziano un incremento significativo della redditività le imprese di dimensioni medio-grandi (ricavi tra 10 e 20 milioni, a +9,1%) e con fatturati superiori ai 50 milioni (+4,9%). Le aziende con fatturati tra 20 e 50 milioni restano sostanzialmente stabili, con una lieve flessione (-1,2%).
Nel quadro attuale, non proprio facile, le aziende hanno continuato a investire? Quali le differenze tra gli asset “light” e “strong”?
Sì, le immobilizzazioni sono cresciute del +2,5% sul 2023 in modo costante nonostante il contesto difficile, con un aumento del patrimonio netto del +9,1%. Altro dato positivo è la riduzione dei debiti finanziari, per la prima volta dopo due anni, del -4,2% e il debito finanziario è sceso a 2.416 milioni. E sottolineo che il 23,5% delle imprese non ha indebitamento finanziario. Anche questo è accaduto in modo non uniforme, anzi le imprese sotto i 5 milioni di ricavi hanno visto aumentare del +12% i loro debiti finanziari. Quindi si conferma questo trend di particolare difficoltà sulle aziende di dimensione minore.
Quali sono le principali strategie di adattamento che scaturiscono dalla ricerca?
L’imprenditore può agire e influire su questo contesto curando le risorse umane e le competenze all’interno dell’azienda, creando un’organizzazione capace di valorizzarle e dando a questa organizzazione strumenti che permettano attraverso la digitalizzazione dei processi di avere sempre informazioni che forniscano un quadro chiaro dell’evoluzione della situazione. Senza competenze, strumenti digitali e un’organizzazione con una forte leadership è impossibile costruire imprese che sappiano resistere a questa tempesta perfetta. Tuttavia è importante differenziare la responsabilità degli imprenditori, che possono fare “solo” scelte di adattamento ai trend negativi, da quelle politiche delle associazioni di categoria che devono impegnarsi nel loro contrasto.