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Storie di vigna. Prosecco Marchiori, oltre le Rive

20 Gennaio 2016 Alessandro Torcoli
In terra di Prosecco, Docg s’intende, cioè sulle colline di Conegliano Valdobbiadene, non bisogna confondere Farra con Pieve di Soligo. Curiosamente, la prima è di origine longobarda, monoteista, la seconda è romana, politeista. Ancor più curiosamente però, la prima, cioè Farra di Soligo, pare essere molto meno teocratica della seconda, e allo strapotere della Glera, vitigno principe del Prosecco, affianca sempre più volentieri varietà autoctone come la Perera, ad esempio, che dalla famiglia Marchiori è stata anche imbottigliata in purezza, ad esempio.

Passeggiando nel mare delle vigne

Assaggio i Profili, le bollicine di questa famiglia che alcuni mesi fa mi fece un’ottima impressione. Umberto mi accompagnava carico di elettricità, non tanto ovviamente per la mia presenza, ma per l’imminente nascita di un figlio. È incredibile quanto l’entusiasmo naturale di una trepidante attesa possa travolgere tutto quanto intorno. Ancora, spesso ripenso infatti alla nostra passeggiata tra le Rive. Anzi, oltre le Rive… Infatti, per la precisione con Marchiori si parlava di "onde" delle vigne, come pieghe segrete e uniche che rilucono nella grana dorata e speziata di questi vini. Onde delle Zulle, ad esempio, è la prima vigna di famiglia, 3.500 metri da sempre di casa Marchiori, con terreni magri, dove la pianta è meno vigorosa e anche meno soggetta alle malattie.

I vigneti del Prosecco Marchiori

In tutto, i Marchiori curano 16 vigneti per complessivi 12 ettari, una polverizzazione che ha senso solo qui, sulle migliori colline di Conegliano Valdobbiadene, che da questo punto di vista, per me, è un mistero, e mi stimola continuamente, specie dopo questa visita, a ripetere e ripetere che associare il Prosecco Superiore a una "simpatica bollicina" da aperitivo e basso prezzo è un peccato mortale. Per rendersene conto è sufficiente passeggiare tra questi filari, arrampicarsi a tratti, ritrovarsi con la lingua di fuori per la fatica, e immergersi in un panorama unico, tra onde e rive, appunto, dove la natura si ribella a ogni scorciatoia, dove meccanizzare è quasi impossibile.

Parcellizzazione e pendenze da viticoltura eroica

Ma per chi ci crede, per chi, come questa famiglia arriva a 35 mila bottiglie, con un potenziale di 100 mila, che parlando di Prosecco è come dire niente, è tutta un’altra storia. Per loro è "divertente" tutta questa parcellizzazione, la faticosa varietà delle vigne e delle uve, "per ottenere sfumature". Di fronte a questi entusiasmi si capisce perché il vino sia il meno industriale dei prodotti agricoli, vissuto così, o è arte o al massimo artigianato, ma l’industria è laggiù, in pianura, si parla a sei zeri, si fa il marketing, e poi il vino.

Il duro lavoro in vigna: 767 ore all'anno

Anche qui si fa marketing, per carità. Anzi guardate la modernità e la bellezza del loro sito. Ma prima si fa il vino, anzi ancor prima si impreca dietro alle vigne, come papà Marchiori dal 1974, e dal 2002 i figli. Per intenderci, la gestione della vigna e il governo del territorio prendono 767 ore lavoro l’anno: cioè 95 giorni, 3 mesi e mezzo senza sabati né domeniche faticando 8 ore al giorno sugli erti pendii di Farra. Ovviamente, non se ne occupa una sola persona. Ma è un monte ore altissimo, da viticoltura di alta qualità e quasi "eroica". Però poi vendere un Prosecco, per quanto Docg, è impossibile sopra certe cifre, non è mica Champagne (dove per altro i filari richiedono circa 500 ore per ettaro).

La riscoperta dei vitigni antichi: Perera, Bianchetta, Grapariol

Una volta Farra di Soligo era un centro importante, il secondo dopo Valdobbiadene. Oggi qui c'è più bosco che alla fine del 1800. Per fortuna, una nuova giovane generazione è tornata a crederci, punta all’eccellenza e alla creazione di un unicum. Si tornare a parlare di varietà antiche, come Perera, Bianchetta (meno acida, più tannica, che porta in dote al vino note di pepe bianco), Grapariol (Rabosina bianca), ma con pragmatismo moderno «Con i vitigni antichi bisogna stare attenti», ricorda Umberto Marchiori. «Sono stati abbandonati anche perché non dimostravano la costanza della Glera». Terminato il viaggio, nella cantina tra il casalingo e il tecnico, accolti da uno splendido cartello che promette “felicità a chilometro zero”, assaggiamo dalle vasche e dalle bottiglie. Tra tutti, ricordiamo le Rive Alte, con profumi di frutta a polpa bianca, pera e mela, con un tocco di spezie, e un equilibrio raro al palato. E un finale sorprendentemente lungo.

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