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Peverella, l’uva di confine che piace alla famiglia Poli

1 Gennaio 2019 Roger Sesto

Per secoli la Peverella è stata considerata “uva di confine” tra il fondovalle dell’Adige e le colline di Salorno, Faedo e della valle di Cembra.

Intorno all’origine del nome due sono le ipotesi. La prima vuole il termine derivare dalla pungenza data dalla sua acidità, che ricorda il pepe (pevero in dialetto); l’altra sostiene che l’origine sia legata a “vino della pieve”, per l’antica consuetudine di coltivarla nei poderi attigui alle chiesette alpine.

 

Un grappolo di Peverella

 

Ama i terreni impervi e matura presto

Dimorante su ripidi e impervi terreni terrazzati per sfruttare al meglio l’irradiazione solare, ha grappolo tozzo e tondeggiante, con acini medio-piccoli dalla spessa buccia di colore verdognolo e raramente giallo anche a piena maturazione. Si caratterizza per un ciclo vegetativo assai precoce, che conduce a una vendemmia tra fine agosto e inizio settembre. Da un punto di vista organolettico il vino che ne deriva risulta particolarmente acidulo, con una certa persistenza aromatica e una singolare vena gustativa giocata sulla coesistenza di sensazioni rotonde, sapide e fresche.

 

Da sinistra Francesco Poli, i nipoti Elisa, Massimiliano e Federico, quindi Alessandro Poli e la moglie Alberta

 

Per la famiglia Poli è perfetta in versione frizzante

Così Alessandro Poli, viticoltore di Santa Massenza di Vezzano (Trento) e paladino della Peverella: «La declino solo nella versione frizzante (metodo Martinotti), perché si presta molto bene a questo tipo di risultato, grazie alla sua abbondante freschezza acida e a una certa carica aromatica. Massenza Belle, Vigneti delle Dolomiti Frizzante Igt è la mia unica bollicina, nata con la ferma convinzione di partire da una storica uva trentina». Aggiunge Poli: «La coltivo sulle colline sopra il lago di Santa Massenza, sugli stessi terreni dove lavoro anche la Nosiola. Suoli di marna grigia e rossa, calcarei, magri e ricchi di scheletro. È più sensibile alla peronospora che all’oidio. Le vigne sono in regime di agricoltura biologica. Inoltre, impiegando preparati biodinamici riesco a minimizzare il ricorso a rame e zolfo, beneficiando di un terroir particolarmente vocato alla viticoltura».

 

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