Perché il Moscato non vuole Asti?
Un momento d’oro dal punto di vista delle vendite eppure pericolose contraddizioni interne. Una crescita produttiva vertiginosa che ha toccato lo storico di 107 milioni di bottiglie nel 2011 provocata soprattutto dall’entrata in scena di aziende di grandi dimensioni. La denominazione di origine che non comprende il comune di Asti. La querelle aperta dal produttore Gianni Zonin
Ci vorrebbe un astrologo per capire come mai l’Asti Spumante e il Moscato d’Asti, nel momento del loro massimo successo, sono dilaniati da contraddizioni così acute che rischiano di paralizzare il loro stesso sviluppo. Perché un astrologo? Perché una situazione così assurda e intricata può essere stata generata soltanto dal malefico influsso di qualche congiunzione celeste, alla quale è legittimo sospettare che i due vini piemontesi a Docg siano più sensibili degli altri perché sono i soli di cui si conosca con certezza la collocazione zodiacale: figli della stessa uva, il Moscato bianco di Canelli, non possono che appartenere al segno dei Gemelli.
Gemelli? Fino a qualche anno fa, a dire il vero, sembravano alquanto diversi: rifermentato in autoclave e prodotto con le bollicine in alcune decine di milioni di bottiglie dalle industrie vinicole, lo Spumante aveva un’immagine di prodotto di massa con un buon rapporto qualità-prezzo ma non molto di più, mentre il Moscato, frizzante naturale realizzato in pochi milioni di esemplari da aziende agricole di piccola e media dimensione, era considerato un vino di nicchia con qualche quarto di nobiltà.
© Riproduzione riservata - 02/03/2012