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Old Vine Conference e Villa Bogdano in difesa delle vecchie vigne

Old Vine Conference e Villa Bogdano in difesa delle vecchie vigne

La cantina di Lison di Portogruaro, una delle capitali italiane delle vecchie vigne, ha ospitato il primo convegno di Old Vine. Fondata dalla MW Sarah Abbott, l’associazione no profit è nata per tutelare il patrimonio viticolo storico e promuovere una nuova cultura dei vini figli di antichi filari.

Un sodalizio in difesa dell’oro delle vecchie vigne. Villa Bogdano 1880, storica Cantina a Lison di Portogruaro, ha ospitato il primo convegno internazionale della Old Vine Conference. L’associazione no profit inglese è nata per tutelare il patrimonio delle vigne storiche; è stata fondata da Master of Wine come Sarah Abbott e Alun Griffiths insieme ad altre personalità di spicco del mondo vitivinicolo ed enologico internazionale.
E del resto location non poteva essere più appropriata, visto il meticoloso impegno che l’azienda vinicola veneta profonde nell’accudire i secolari filari di Tocai Ffriulano; 18 ettari che raccolgono testimonianze di tradizioni in via d’estinzione, tra cui le 117 viti risalenti al tramonto del XIX secolo e coltivate con la tecnica del cassone padovano, utilizzata dai monaci benedettini fin dal Medioevo e caduta in disuso agli inizi del ‘900. Una partnership che significa condivisione di saperi e tecniche di gestione, e che intende promuovere una nuova cultura dei vini figli di antichi filari. E aprire nuove frontiere commerciali.

Old Vine
Un momento della Old Vine Conference

Un rianimato rispetto per la terra

I 106 ettari a corpo unico che sommano le parcelle di Tenuta Planitia, storica azienda vinicola che oggi produce vini col nome di Villa Bogdano, si trovano tra il fiume Loncon e Lison, nelle lande che i veneziani chiamavano “terre inculte” e dove la vite si affacciò nel ‘500 proprio per merito di nobili famiglie della Serenissima. Dal 2016 l’attuale proprietà, guidata dal fondatore Domenico Veronese e dall’enologo Lucio Tessari, ha avviato al suo arrivo un’opera di restauro dei vigneti storici, i più vecchi databili tra il 1896 e il 1929, che ha compreso reimpianti col medesimo patrimonio genetico delle piante originarie. «A Villa Bogdano è stato fatto rivivere il rispetto per la terra», ci racconta il professor Carlo Petrussi, un’istituzione in Friuli sul tema dei vigneti storici, che ha personalmente curato il lavoro di recupero.

Old Vine
Il titolare di Villa Bogdano 1880 Domenico Veronese

Conservazione del biosistema

L’opera è iniziata con la tutela della composizione originaria dei suoli, scampati alla bonifica mussoliniana degli Anni Venti, con la loro ricchezza di minerali e sostanze organiche, dove l’argilla supera in alcuni punti il 53%.
«È stato preservato il ∫ che è qua da 80 anni, facile da rovinare, difficile da replicare, che comprende il cotico erboso e che grazie alla sua funzione regolatrice e alla sua naturale simbiosi ha permesso alle piante di essere arrivate a oggi». L’ossequio per la gestione del suolo e per la pianta fa parte di un «ritorno all’importanza dell’agronomia, oggi spesso non tenuta in adeguata considerazione». E comprende la conservazione dei filari a cassone padovano, o “culla”. Si tratta di un sistema probabilmente nato assieme alla coltura del Tocai nella zona (attorno al 1880) pensato per esaltarne la “generosità”. Una sorta di Silvot alla veneta che prevede un filare sdoppiato, coi ceppi distanti circa 1,5 metri tra loro, perché «un Tocai molto fitto tende a fare poca uva e non molto buona».

L’enologo Carlo Petrussi con le vecchie viti di Tocai

Apparato radicale e sostanze di riserva

«Nella viticoltura moderna, la fisiologia della pianta viene dopo l’operatività aziendale», ha ricordato ancora Petrussi, «ma è una visione miope. Le vecchie vigne possiedono un immenso apparato radicale, che significa un’enorme quantità di sostanze di riserva come zuccheri e amidi; e dunque capacità di mediare alle difficoltà fisiologiche. Queste sostanze rappresentano le sue difese e il suo “futuro”». Anche la qualità dell’uva prodotta è diversa.
«La capacità di viti vecchie e franche di piede di immagazzinare sostanze di riserva nelle branche, nel fusto e nelle radici e renderle disponibili durante la fase di invaiatura alza indiscutibilmente la qualità dell’uva e dunque del vino, e permette una vita più lunga e sana alla pianta», ha aggiunto il professor Mario Fregoni, ex docente dell’Università Cattolica di Piacenza e Presidente onorario Oiv.

Un futuro fatto di viti sempre più fragili

«Le vecchie viti, e il loro studio, offrono un’importante lezione alla moderna viticoltura che, ha spiegato Fregoni, «è affetta da pericolose distorsioni. Prima avevamo viti ultrasecolari, oggi piante che durano poco e costano molto». Al mondo esistono appena 2 milioni di ettari di viti a piede franco, e dunque vecchie, su un totale di oltre 7,5 milioni. Le varietà coltivate sono in vertiginosa diminuzione e i vigneti sono sempre più concentrati; questo fenomeno di riduzione genetica e ammassamento rende la vite più vulnerabile e favorisce la diffusione di parassiti. Da 150 anni si procede a innesti su piede americano, principalmente per ovviare alla fillossera, ma questa pratica comporta effetti sul vigore della pianta, la qualità dell’uva che produce. E genera casi di rigetto. Anche per questo gli impianti moderni durano appena 15-25 anni e sostituirli comporta notevoli esborsi economici.

Strade alternative per viti franche di piede

La ricerca propone sottovoce soluzioni alternative alle pratiche di innesto, tramite le quali sarebbe possibile coltivare vitis vinifera franca di piede.
«La fillossera per esempio», ha proseguito Fregoni, «non ama climi rigidi, suoli acidi ed è sensibile all’asfissia radicale; e allora, invece degli innesti, per combatterla potrebbero essere perseguite soluzioni come la correzione dell’acidità del terreno tramite lo zolfo, pratiche sperimentali di irrigazione per sommersione, glaciazione del terreno o diffusione di acido salicitico sulle foglie della pianta».

Un coro per tutelare le vecchie vigne

«Nonostante l’esistenza di strenui difensori del loro valore in tutto il mondo, stiamo smarrendo l’enorme patrimonio delle vigne vecchie», è l’ammonimento della MW Sarah Abbott, che ha lanciato il progetto Old Vine nel marzo 2021. «La struttura dell’industria vinicola globale mette a dura prova la loro vitalità commerciale. Il mercato globale del vino fatica a riconoscerne il valore e non lo comunica sulle etichette.
Di conseguenza, vecchi vigneti sani, dalla risonanza culturale e dal potenziale qualitativo unico si perdono perché non sono economicamente sostenibili. Lo scopo della Old Vine Conference è renderli tali. Riunendo le voci che si stanno levando in loro difesa (dalla California all’Italia, da Barossa Valley al Cile fino al Sudafrica), raccontando le loro storie, stimolando la condivisione delle migliori pratiche di coltura, preservando un patrimonio agricolo fatto di specificità regionali che sono sinonimo di cultura e implementando nuove strategie dalla vigna al calice. A cominciare dalla creazione e dal riconoscimento globale di una nuova categoria di vini».

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© Riproduzione riservata - 30/11/2022

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