In Italia In Italia Alessandro Torcoli

Nel castello di Re Manfredi

Nel castello di Re Manfredi

Entriamo in punta di piedi nel laboratorio lucano di Christian Scrinzi, tra paesaggi mozzafiato che evocano la Nuova Zelanda, con il vantaggio di una storia millenaria, e assaggi eccellenti. Tutti i segreti di un bianco atipico e sorprendente

Matera, gennaio 2019: è un anno felice, che incorona la città lucana “capitale europea della cultura”. Ci aggiriamo tra i sassi in visita a quello che sarà il ristorante di Re Manfredi, tenuta lucana del Gruppo Italiano Vini. Gli scampoli di neve ai bordi delle scalinate evocano le stampe di Escher, le luci ocra che illuminano i vicoli rendono il centro storico un presepe laico, uno scenario che non a caso il mondo ci invidia.

Matera, orgoglio nazionale

Un “orgoglio nazionale”, e anche uno strabiliante upgrade della Storia, considerando che solo mezzo secolo fa Palmiro Togliatti definiva Matera una “vergogna nazionale”. La Taverna Re Manfredi si trova nel Sasso Caveoso a due passi dal quartiere oggi più popoloso della città. Un ristorante contemporaneo, ricavato in un sasso, naturalmente, e ristrutturato con sapienza. Sono particolarmente affascinanti le piccole sale che si rincorrono in un gioco di scatole cinesi, intime e accoglienti. Ai fornelli è stato chiamato un giovane oggi in auge anche a Milano: Fabrizio Albini. I visitatori più frettolosi potranno ristorarsi al volo, con piatti nient’affatto banali, ma per i più fortunati la sosta non potrà che essere fiabesca.

Venosa, la culla di Orazio

Da Matera ci portiamo nei pressi di Venosa, un altro pezzo di storia con la sua incredibile “incompiuta” abbazia medioevale mai finita per mancanza di fondi, e ancora oggi lasciata en plein air. Inoltre, a Venosa nacque Orazio, il poeta del “carpe diem”, cogli l’attimo, confidando meno possibile nel domani. Epicureo, come lo siamo noi che spendiamo il resto della giornata nella tenuta di Re Manfredi, viziati da Paolo Montrone, volto della tenuta e ospite munifico. Il suo menu, dove brillano cime di rapa cremose e un favoloso agnello delle dolomiti lucane, sfida le leggi dell’equilibrio post-prandiale. Ma poco importa, poiché tutto era già stato visto in mattinata.
Siamo stati in compagnia di Christian Scrinzi, direttore tecnico del gruppo ed enologo che guarda lontano e che (non è da tutti) condivide progetti e visioni.

I piatti del pranzo

Aria di château bordolese

Re Manfredi ricorda gli châteaux bordolesi: 100 ettari, di cui 85 a corpo unico, con al centro la cantina. I vini stanno andando nella stessa direzione, secondo Scrinzi. «Immagino tre etichette: il primo vino rosso – cioè Serpara – di cui potremmo anche allungare l’invecchiamento, il Re Manfredi Rosso – con uscita anche anticipata, sempre più fruttato – e un bianco». Nei rossi, naturalmente domina l’Aglianico, che da queste parti sa essere potente e maturo, oppure succoso e fruttato. Il bianco è un capitolo a parte (anche in questo articolo) e «rappresenta la storia della tenuta».
Una costante dei vini che abbiamo assaggiato è la freschezza. «Quando ho visto questi luoghi ho pensato subito alla Nuova Zelanda, dove avevo lavorato: il paesaggio, la luce, il vento e le escursioni termiche». Difficile dargli torto, guardando questi lunghi filari che sembrano terminare su sfondo teatrale di montagne e vulcano dalle cime canute.

Paolo Montrone e Christian Scrinzi

Come nasce un grande bianco

Re Manfredi Bianco, nato quasi per gioco ed esploso nelle mani con 170 mila bottiglie vendute da subito, è un pezzo di storia, non esattamente tipico, ma identitario per l’azienda. È un blend di Müller Thurgau e Gewürztraminer, che poggia sulle solide fondamenta dell’altitudine (oltre 400 metri slm) e dei venti rinfrescanti, giustificando la scelta di vitigni aromatici, che hanno bisogno di escursioni termiche. Ma non è nell’uvaggio la specialità del vino, quanto nella cura dell’enologo che ha creato un bianco tutt’altro che banale: complesso, profondo, capace di evolvere negli anni. Assaggiamo le singole componenti e poi l’assemblaggio finale dell’annata 2018. Il Müller, dopo la macerazione in pressa con stabulazione (sosta pre-fermentativa su fecce del pressato, per dare grassezza e volume) resta a lungo in vasca d’acciaio sulle fecce fini. Ha profumo di mela verde, biancospino e coniuga volume e freschezza. Il Gewürztraminer svolge una macerazione pre-fermentativa a freddo di 24 ore – molto lunga, di solito dura la metà – per estrarre gli aromi dalle bucce, poi si affina in contenitori diversi: botte (non nuova) e uovo di cemento, che assaggiamo separatamente. Il campione dalla botte è più intrigante, con tocco speziato e maggiore morbidezza al palato; quello dall’uovo di cemento è più ridotto, con una spiccata nota sulfurea, ed è più spigoloso in bocca.

Müller Thurgau e Gewürztraminer per un risultato magico

Ma la magia del blend ben calibrato rende perfetto il finale: assaggiamo la massa del Re Manfredi 2018, che sarà presentato al prossimo Vinitaly, ed è eccellente, con aromi complessi, mela rossa, finocchietto, polpa di pesca; il sapore è pieno, morbido e il vino ha un lungo finale. A ciò, per completezza, diciamo che sarà aggiunta come sempre una percentuale (tra il 10 e il 15%) dell’annata precedente per rendere il vino ancor più pronto al consumo.

Altri assaggi

Di seguito, una selezione dei migliori vini assaggiati a Venosa l’11 gennaio

Re Manfredi Bianco, Basilicata Igt 2016

Pesca bianca, biancospino, miele d’acacia, tocco sulfureo, delicato e vulcanico, seducente e persistente.

Re Manfredi, Aglianico del Vulture Doc 2015

Frutti rossi e neri, tocco di liquirizia, composta di sottobosco, pepe rosa. Bocca fresca, asciutta, tannino importante ma rotondo, acidità sostenuta con eccellente finale di radice.

2012

Rosso rubino ancora compatto e brillante, aromi di lampone, prugna, mora, senape e finocchietto, tabacco dolce; polpa fitta, buona freschezza con iniziale prugna secca e finale di liquirizia, tannino maturo.

2001

Il migliore, appena brunito il colore sull’unghia. Trionfo di terziari, dal sottobosco al tabacco al cuoio, uniti a composta di fragole, melograno, peonia, liquirizia. Setoso con piglio, agrumato sul finale e ancora Kentucky e radici alle ultime battute. Consistente e fresco.

Serpara, Aglianico del Vulture Superiore Docg 2013

Sinfonico e romantico: fragola e lampone, sanguinella e tabacco, prugna matura; bocca fresca, dal tannino morbido e piccantino, ottima persistenza. Una delle migliori annate con la 2011 e la 2010.

2012

Al picco del suo charme, con frutti rossi e agrumi, tabacco dolce; al palato il frutto è maturo, rotondo con finale leggermente amaro, che cadenza il ritmo e riporta alla beva.

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© Riproduzione riservata - 24/02/2019

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